di ISABELLA BOSSI FEDRIGOTTI
Possiamo noi, trentini e altoatesini, festeggiare il compleanno dell’unità d’Italia? Abbiamo noi motivo di ricordare con una qualche emozione questa data? Al di là dei noti pronunciamenti in proposito e delle conseguenti notissime polemiche, è la nostra storia che autorizza la domanda.
Prima di tutto, l’unità per noi è venuta quasi sessantanni dopo, alla fine della Grande Guerra, e per una parte della nostra regione ha significato piuttosto una sottrazione di patria, neppure tanto ragionevole se si pensa che, mentre entrava a far parte della nazione una terra che di italiano aveva assai poco, ne usciva un’altra — l’Istria — che invece italiana era fortemente. Ma i grandi della terra, si sa, amano — o amavano — tirare righe nette, senza badare troppo a sottigliezze di carattere culturale e linguistico, e pazienza se questi confini decisi in luoghi remoti sono poi stati spesso motivo dì guai, anche di sanguinose guerre.
In secondo luogo la nostra regione non era uno Stato indipendente come altre parti d’Italia, ma apparteneva da lunghissimo tempo a una delle maggiori potenze europee, ed era perciò segnata nel profondo dalla sua cultura e amministrazione. Inevitabile, dunque, che il cambio toccato ai nostri nonni e bisnonni fu per buona parte di loro abbastanza traumatico, anche perché risultato di una guerra crudelissima che la maggioranza dei nostri antenati aveva combattuto sui fronti lontani dell’antica patria.
Ciò nonostante, valutando i nostri novantanni da italiani — e sia permesso affermarlo a chi, per ragioni familiari, condivide entrambe le culture, quelle della cosiddetta antica patria come quella della nuova — armi pur in parte difficilissimi e tormentati, dobbiamo riconoscere che l’Italia con noi non è stata matrigna, tutto al contrario, e non soltanto sotto il profilo, sempre citato, strettamente economico. Siamo infatti — e non si tratta di cosa da poco — oggetto di ammirazione, a volte d’invidia, siamo considerati e rispettati oltre che visitati da stuoli di turisti. E quella nostra certa diversità, che ci deriva dal passato, come del resto sempre succede per le diversità, si è rivelata un indubbio valore. Se fossimo rimasti «di là» non è per niente sicuro che sarebbe andata allo stesso modo; e, comunque, il recente referendum tirolese ce l’ha detto chiaro e tondo che non è il caso di girare indietro il film della storia. Festeggiare dunque si può, forse si deve, a prescindere dalla lingua che parliamo. Eravamo terra poverissima, aspra e affamata, mentre ora davvero non lo siamo più. E non sappiamo se l’evoluzione sarebbe stata la stessa se fossimo rimasti negli antichi confini.
(courtesy MLH)