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Livio Felluga: la famiglia è la vera risorsa anti-crisi (Il Piccolo 14 ott)

Livio Felluga, fondatore dell’omonima cantina di Brazzano di Cormòns in provincia di Gorizia, ha appena festeggiato 98 anni. Il patriarca del vino isontino nel mondo è nato infatti il 1 settembre del 1914 a Isola d’Istria. Uomo legato alla terra, di poche parole, dagli occhi ridenti e luminosi, ha accettato per la prima volta una conversazione sulla sua biografia imprenditoriale e sulla crisi che stiamo attraversando. Felluga da sempre considera la sua attività vinicola come un inno alla trasparenza e alla semplicità in una vita di lavoro senza glamour, schivo, cordiale, concreto nel fare.

 

I suoi vini inconfondibilmente rappresentati in etichetta da una carta geografica, sono conosciuti e apprezzati in tutto il mondo. Famose le sue battute sintetiche, essenziali nell’espressione e profonde nel significato. Egli disarma gli entusiasmi di ammirazione dei tanti amici ed estimatori con la frase in dialettoistro-veneto : “cossa go fato de grande?” Nel 2009 l’università di Udine gli ha conferito la laurea honoris causa in viticoltura.

 

Livio Felluga, quando finirà questa crisi?


In questa situazione è arduo fare delle previsioni perché si tratta di un cambiamento epocale. Il nostro Paese vive un periodo difficilissimo, aggravato da una situazione di crisi internazionale.

 

Bisogna forse recuperare le energie e la forza vitale degli anni più dinamici del boom economico, quando tutto doveva essere ricostruito?


Sarebbe auspicabile ma lo scenario è diverso. Anni duri quelli del dopoguerra, tanta povertà e tutto da ricostruire ma c’era spazio per chi aveva intraprendenza e voglia di fare. Oggi è più complicato a causa dei nuovi mercati emergenti e l’entusiasmo della nostra imprenditoria si è spento a causa delle barriere burocratiche e dei gravosi costi d’impresa che non consentono di essere competitivi.

 

Rispetto ad allora che cosa è cambiato e che cosa manca oggi?


Nel dopoguerra non avevamo niente, dovevamo ricominciare da zero. Abbiamo lavorato sodo, con onestà e determinazione. Anni difficili ma che davano spazio alla creatività, al mestiere, al fare. Oggi mancano i valori e abbiamo modelli culturali sbagliati. Senza rendercene conto siamo stati divorati da un mostro che si chiama egoismo, ingordigia, indifferenza.

 

Se andiamo avanti così che cosa lasciamo alle future generazioni ?


Non è una bella eredità quella che stiamo lasciando alle nuove generazioni. Penso ai miei nipoti e mi spaventa il loro futuro. Quando parlo con loro continuo a dire che il patrimonio cervello è la cosa più importante, la cultura, il sapere, più sai e più vali. La famiglia e gli affetti sono beni preziosi. Quando ci ritroviamo tutti assieme e vedo questa bella e grande famiglia mi commuovo e penso che questo è il grande risultato della mia vita. La sua generazione ha saputo superare molti ostacoli.

 

Che consigli darebbe alla classe dirigente che guida oggi il Paese?


La classe politica e quella dirigenziale dovrebbero pensare più seriamente a questo Paese e alla sua gente. Una politica più onesta a favore della comunità e non come troppo volte succede a vantaggio personale come la cronaca ci riporta giornalmente. Fondamentale per il futuro è creare delle politiche di sviluppo per riportare il lavoro in Italia.

 

Come devono agire le imprese per ritrovare la strada dello sviluppo?


Non esiste una ricetta che possa risolvere i problemi di tutte le aziende, ogni settore ha delle esigenze e delle problematiche che richiedono specifici interventi. Nel nostro settore è fondamentale credere nella terra che è cultura e valore.

 

Qual è stato il suo rapporto con la politica?


Non mi sono mai fatto condizionare dalla politica, ho sempre privilegiato gli uomini alle ideologie. L’intreccio delle vicende della famiglia Felluga con il vino a quando risale? Da cinque generazioni il vino ci dà il pane. Un viaggio che inizia a Isola d’ Istria dove mio bisnonno e mio nonno producevano refosco e malvasia. Sono vivi i ricordi di quando ero bambino e con mio nonno andavo su e giù per le vigne. Mi metteva sul dorso di un mulo, dentro ad un cesto di vimini e dall’altra parte metteva una pietra per equilibrare i pesi. I primi insegnamenti di viticoltura sono stati i suoi. Ricordo quei vigneti terrazzati che guardavano il mare.

 

Dall’Istria come siete arrivati a Grado?


Dopo la grande guerra mio nonno decise di espandere il commercio e mandò mio padre Giovanni a Grado per vendere il vino. Il trasporto avveniva con dei barconi. Ben presto tutta la famiglia si trasferì sull’Isola d’Oro, centro balneare dell’impero asburgico. Lavorando con mio padre imparai a vendere il vino, diventai un suo valido aiuto e presto venni mandato con il “santolo” Emilio Gottardo, bravo venditore, a Udine. Mi innamorai del Friuli e delle sue dolci colline.

 

Che tipo di vino chiedeva la clientela?


La gente iniziava ad apprezzare il vino di collina e cresceva in me la convinzione che la qualità nasce prima di tutto in campagna e poi in cantina. Il mio sogno era di poter acquistare dei vigneti in collina,un sogno che ho potuto realizzare solo dopo la guerra. I primi 23 ettari li acquistai a Rosazzo negli anni ‘50, oggi abbiamo 160 ettari tra Collio e Colli Orientali.

 

Voi siete un’azienda familiare, ha mai pensato di cambiare passando ad una gestione manageriale?


Sono molto orgoglioso dei miei figli, Maurizio, Elda, Andrea e Filippo che si sono innamorati di questo lavoro coprendo tutti i ruoli manageriali utili all’azienda. Un bel lavoro di squadra che continua a dare grandi soddisfazioni. Un episodio che amo ricordare è l’ entrata in azienda di Maurizio, pieno di entusiasmo e nuove idee. A lui si deve la nascita del Terre Alte, uno dei grandi uvaggi bianchi italiani.

 

I vini Livio Felluga hanno come logo l’etichetta originale e inconfondibile di una mappa, come è nata questa immagine?


L’etichetta della “carta geografica” nasce nel 1956. Volevo far conoscere la provenienza del mio vino al di fuori della regione. Nella bottega di un amico antiquario udinese trovai una mappa storica del Friuli. Creai così la mia etichetta personalizzando quella carta geografica ed evidenziando le mie zone di produzione, un’intuizione che si è rivelata vincente. Ha dei rimpianti? Direi di no. Mi avrebbe fatto piacere studiare di più ma i tempi erano duri. Ho fatto la quinta elementare, dopo ho potuto frequentare solo per pochi mesi la scuola a Grado perché venne chiusa e mio padre mi disse che non era possibile mandarmi a Gorizia per studiare. Ma ho letto molto, privilegiando la saggistica.

 

Qual  è uno dei momenti più belli della sua vita? Sono tanti, veramente tanti ma certamente uno dei momenti più gratificanti è stato quando nel 2009 l’università di Udine mi ha conferito la laurea specialistica honoris causa in viticoltura, enologia e mercati vitivinicoli. Una grande emozione condivisa con mia moglie Bruna, i miei figli, i nipoti e tanti amici. Un riconoscimento che mi ha reso fiero come uomo e come imprenditore.

 

Margherita Reguitti

“Il Piccolo” 14 ottobre 2012

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