Il concupito, l’Ue, è tutto preso dai propri problemi economici e ha poco tempo e ancor meno denaro da dedicare ai suoi corteggiatori. E uno di questi, la Serbia, spasimante spesso non ricambiato in un burrascoso rapporto d’amore interessato, sembra aver accusato il colpo. Se i Paesi Ue si richiudono in se stessi causa crisi, Belgrado deve dunque pensare anche a soluzioni alternative. Non può guardare più solo verso Bruxelles con qualche strizzatina d’occhio a Mosca, ma rivolgersi sempre di più a Est. Verso Pechino, Istanbul, Abu Dhabi, potenze economiche che potrebbero risollevare le sorti dell’economia nazionale. Al centro del nuovo “triangolo” Bruxelles-Belgrado-Oriente, la Serbia e il suo ministro delle Finanze e dell’Economia, Mladjan Dinkic.
Ministro lei ha parlato, durante la conferenza Euromoney a Vienna, di un “nuovo modello di crescita” per la Serbia, che guardi più verso Est. Di cosa si tratta?
Ci sono due Paesi Ue con cui abbiamo relazioni commerciali ideali e dai cui provengono molti investitori, Germania e Italia, ma anche l’Austria. In generale gli Stati europei hanno però problemi e dedicano la maggior parte del tempo a loro stessi. Non possiamo aspettare che la crisi nell’Eurozona passi, ma vogliamo continuare ad accogliere aziende europee, ad esportare sul mercato Ue, il nostro mercato più grande. E allo stesso tempo vogliamo essere più flessibili nel cercare investitori a Est.
Perché?
Abbiamo sempre avuto buone relazioni con la Russia. Tito aveva buoni rapporti con i Paesi arabi e noi li stiamo riallacciando. Per questa ragione sono stato due volte negli ultimi mesi negli Emirati Arabi e per questo il principe Mohammed (bin Zayed) è venuto a Belgrado. Abbiamo già firmato i primi contratti. E Cina, Russia, il Medio Oriente, i Paesi arabi, la Turchia sono pronti a investire in Serbia molto di più che in passato. Vogliamo diversificare, non stoppare le nostre relazioni con i Paesi europei, specialmente con quelli con cui abbiamo ottime esperienze, come l’Italia. L’investimento Fiat rappresenta il maggior contributore alle esportazioni e alla crescita del Pil.
Guardare verso Est è solo una decisione necessaria per lo sviluppo economico o è anche scelta politica?
È solo una decisione economica. Noi siamo per natura parte dell’Europa, vorremmo iniziare i negoziati d’ingresso nell’Ue alla metà di quest’anno. Semplicemente non sappiamo quanto questo processo durerà e la nostra gente, con la disoccupazione piuttosto alta, non può aspettare la fine della crisi dell’Euro. Ci chiedono soluzioni. In qualche modo, diciamo, stiamo provando a rimettere in funzione qualcosa di simile alle strategie di Tito ai tempi della Jugoslavia.
Qualcosa tipo il Movimento dei Non Allineati?
Qualcosa del genere. Non è lo stesso periodo storico, ma le circostanze nell’Ue ci hanno spinto a pensare molto di più alle politiche di Tito (Dinkic sorride).
Lei ha menzionato la Fiat. È ottimista sul fatto che l’investimento abbia successo, che si producano a Kragujevac 200mila auto nel 2013?
Penso che ora dipenda dal mercato, ma le prime informazioni (sulle vendite) in Europa sono buone e sta iniziando l’export verso gli Usa. Secondo il management di Kragujevac, Fiat dovrebbe produrre almeno 120-130mila auto quest’anno e ciò concorrerà a un aumento del nostro export pari a 1,5 miliardi di euro. L’export totale l’anno scorso è stato di 8,6 miliardi di euro. Grazie a Fiat e grazie agli investimenti russi ci attendiamo una crescita delle esportazioni del 25%. Sono state tuttavia mosse critiche, in Serbia e anche in Italia, alla politica di Belgrado verso gli investitori stranieri.
Troppo generosi gli incentivi, si dice. È questa l’unica strada per attirare investimenti? Ed è sostenibile per lo Stato?
Non abbiamo, come Draghi, il potere di diminuire il tasso d’interesse europeo e di avere crediti più economici. Facciamo allora in modo di usare le nostre risorse per attirare alcune industrie, come quelle automobilistiche e del settore Ict. I soldi che diamo ritornano nel nostro budget in poco tempo, attraverso contributi, alcune tasse, nuove assunzioni, grazie all’aumento del valore dell’export di queste aziende e all’arrivo di nuove tecnologie. Un modello che abbiamo seguito con Fiat e che siamo pronti a seguire con chiunque, nel settore automotive, ma anche in altri campi. Come quello dei semiconduttori, dove stiamo discutendo con una società degli Emirati Arabi, Mubadala, un investimento potenziale di 4 miliardi di dollari, con opportunità di lavoro per circa mille fra i migliori ingegneri. Una condizione propizia per richiamare serbi che ora vivono all’estero.
Una “Silicon Valley” in Serbia?
Vorremmo fare qualcosa, abbiamo 36 istituti superiori e 13 università tecnologiche. La nostra idea è quella, entro la fine di febbraio, di promuovere un nuovo programma per attirare investitori del settore informatico, un mix di sovvenzioni, facilitazioni fiscali e nuove politiche di formazione, creando un ecosistema nel Paese per sostenere un’economia “knowledge-based”. E siamo pronti a considerare di tagliare del doppio il livello di tassazione per questo tipo di imprese. Nel frattempo, l’economia è in crisi e la disoccupazione è pesante.
Lei è stato membro anche del precedente governo. Come valuta il lavoro di questo esecutivo?
Questo governo è molto più popolare del precedente, perché ha iniziato una dura lotta alla corruzione e perché abbiamo stabilizzato le finanze pubbliche in breve tempo ed evitato una crisi del debito. La stabilità economica è legata a quella politica.
A Belgrado si rumoreggia di elezioni anticipate. Pensa sia un’opzione realistica?
Il coordinamento nel governo è buono, non mi aspetto un voto anticipato. La cosa più importante è che manterremo l’obiettivo dell’integrazione europea, aprendo allo stesso tempo a nuove opportunità e facendo cambiamenti dove vediamo troppa burocrazia. Per far sì che le cose procedano più speditamente.
Stefano Giantin
“Il Piccolo” 17 gennaio 2012