«L’età delle migrazioni forzate. Esodi e deportazioni in Europa: 1853 -1953”. Questo il titolo del volume di Antonio Ferrara e Niccolò Pianciola presentato alcuni giorni fa nella sala delle conferenze dell’IRCI, l’Istituto Regionale per la Cultura Istriana di Trieste, nell’ambito del Giorno del Ricordo. A parlare dell’ultima opera realizzata da due dei maggiori specialisti italiani in materia, uno degli autori, Antonio Ferrara dell’Università Federico II di Napoli, lo storico Raoul Pupo dell’Ateneo triestino, Marcello Flores, dell’Università di Siena, direttore scientifico dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione, Ezio Giuricin, collaboratore del Centro di ricerche storiche di Rovigno, autore di saggi e ricerche sull’argomento, e Gian Carlo Bertuzzi, presidente dell’IRSML del Friuli – Venezia Giulia che, assieme alla presidente dell’IRCI Chiara Vigini, ha introdotto la serata.
Spostamenti forzati di popolazione. Il concetto evoca da una parte la violenza dei nazionalismi otto e novecenteschi, dall’altra la sofferenza di genti travolte dalla storia. Si tratta di sacche di vera tragedia che hanno caratterizzato gli ultimi due secoli, a pari passo con la creazione degli Stati nazionali. Dell’argomento si era già ampiamente occupata l’IRCI – ha spiegato Chiara Vigini – nell’ambito del convegno internazionale sui “trasferimenti forzati di popolazione nel Novecento europeo” promosso a Trieste nel 1997. Le migrazioni forzate, frutto del vortice di violenza prodotto dall’ascesa dei moderni “Stati per la Nazione” – ha precisato Raoul Pupo – si registrano ancor oggi in varie parti del mondo, in aree lontane che conosciamo pochissimo. A toccarci più da vicino quelle accadute in molte parti d’Europa, soprattutto nel Novecento. Il volume di Antonio Ferrara e Niccolò Pianciola offre – è stato detto – uno sguardo ampio e completo sulla problematica, e con la sua sintesi organica sposta il punto di osservazione sui meccanismi politici, sociali ed economici che hanno reso possibili le deportazioni di massa e gli spostamenti forzati, in Europa, di decine di milioni di persone.
Il prorompere della “modernità”, nella sua forma degli “Stati etnici” o degli “Stati per la nazione”, ha contribuito a disgregare e sconvolgere per sempre il complesso humus multiculturale e i delicati equilibri interetnici dei tre grandi imperi multinazionali d’Europa: quello Zarista, quello Asburgico e quello Ottomano.
Come rilevato da Marcello Flores, il volume riassume anche il dibattito scientifico sviluppatosi sull’argomento negli ultimi dieci anni. Le deportazioni – cosi Flores – per la prima volta sono viste come dei fenomeni a sé stanti, dei nodi storiografici da studiare separatamente, con strumenti e metodologie particolari.
La rimozione e lo spostamento forzato di popolazioni é diventato così il simbolo e, insieme, la chiave di lettura delle moderne, spietate politiche di “ingegneria sociale”.
Ezio Giuricin ha sottolineato il contributo porto allo studio del fenomeno, con numerosi saggi, dai ricercatori del CRS di Rovigno e la partecipazione dell’Istituto rovignese, a partire proprio dal convegno internazionale del1997, a progetti e a iniziative comuni tese ad approfondire questa complessa materia. Argomenti affrontati – è stato rilevato – anche nel recente numero 19 della rivista “Ricerche sociali”.
Sul tema sono stati focalizzati tre importanti nodi interpretativi: quello dell’impatto dello Stato nazionale sui delicati equilibri, esistenti da secoli nell’Europa centrale e orientale, fra le “nazioni dominanti”, le cosiddette “master nation” e le comunità nazionali subordinate, quello della particolarità e della categorizzazione dell’esodo istriano, fiumano e dalmata nel contesto più ampio degli spostamenti di popolazioni in Europa, e alla fine dell’aspetto che tali fenomeni storici hanno assunto sul piano del moderno diritto umanitario internazionale.
Spesso si rileva che l’esodo istriano è avvenuto in assenza di specifiche norme o decreti di carattere espulsivo com’era avvenuto, invece, dopo la guerra, nei confronti della popolazione tedesca, in Cecoslovacchia o in Polonia. Le valutazioni della storica Marina Cattaruzza sembrano invece confermare il contrario, in quanto l’articolo 11 del Trattato di Pace di Parigi e le disposizioni della Legge jugoslava sulla cittadinanza nei territori liberati allora configuravano ampiamente, attraverso l’istituzione delle opzioni (e il relativo obbligo di abbandonare definitivamente il Paese entro un anno dalla presentazione della domanda), una volontà e dei precisi meccanismi di “espulsione”.
Le pressioni e i condizionamenti che sono stati alla base dell’esodo si trovano, secondo la maggioranza degli studiosi, in una complessa “zona grigia” fra semivolontarietà e atto forzato, tanto che nella categorizzazione degli spostamenti di massa, l’esodo istriano, fiumano e dalmata può essere annoverato fra i “trasferimenti indotti” o “semivolontari” di popolazioni, introducendo il termine, abbondantemente usato dagli storici anglosassoni, di “semivoluntary compulsed expulsions”.
Appaiono inoltre ancora insufficienti le iniziative e gli strumenti, sul piano internazionale, tesi a “riparare”, almeno in parte, gli ambienti sociali e multiculturali devastati dagli esodi.
Gli esodi e le deportazioni – ha spiegato Antonio Ferrara – sono il frutto dell’intreccio esplosivo di vari fattori. Ma non sempre sono il prodotto di progetti minuziosamente premeditati. I disegni e le ideologie nazionalistici, hanno bisogno dell’innesco – ha spiegato – di contingenti situazioni politiche. Dal punto di vista storico, secondo Ferrara, i concetti di genocidio e pulizia etnica, comunque validi e condivisibili sul piano del diritto penale internazionale, non sono delle categorie facilmente applicabili nel campo storiografico. Lo studio comparato è indispensabile, perché – spiega Ferrara – solo ponendo in relazione fra loro i vari accadimenti, e analizzando i loro punti in comune, si possono poi meglio distinguerne le particolarità e le differenze. Dal dibattito è emersa la complessità di un fenomeno che evidentemente continuerà ad alimentare ancora a lungo gli interrogativi degli studiosi.
(rtg / “la Voce del Popolo” 22 febbraio 2013)