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Lo scoglio della Procura statale croata (Il Piccolo 03 set)

di ANDREA MARSANICH

ZAGABRIA Procura statale croata. A detta degli esperti, è il principale scoglio della recentissima sentenza della Corte suprema della Croazia, che permetterà o dovrebbe permettere ai cittadini stranieri la restituzione, in natura o in denaro, dei loro beni sottratti dopo il secondo conflitto mondiale dal defunto regime jugoslavo, di cui la Croazia è una delle repubbliche eredi. La questione è nota: il quotidiano zagabrese Jutarnji list ha pubblicato una specie di scoop, comunicando che l’Alta Corte aveva emanato il verdetto che consentiva a Zlata Ebenspanger, croata di origini ebraiche, di rientrare in possesso – o di essere risarcita – dello stabile di via Radic 35, a Zagabria. La Corte suprema ha dato così ragione a quanto aveva deciso due anni fa il Tribunale amministrativo di Zagabria, verdetto che aveva visto però reagire la citata Procura di Stato, avanzando ricorso. Secondo la Procura, la Ebenspanger, né gli altri circa 4 mila cittadini d’oltreconfine che hanno fatto domanda di restituzione dei beni nazionalizzati sull’attuale territorio croato, non avrebbero diritto a nulla. Non almeno fino a quando Zagabria non firmerà i relativi accordi interstatali. Considerato che la Croazia non ha sottoscritto finora alcun documento regolante la complessa materia, si direbbe che i 4211 richiedenti (1034 sono italiani) non abbiano alcuna chance. Invece non è così.

La legge sugli indennizzi per i beni nazionalizati dalla Jugoslavia comunista è stata emendata nel 2002 ed in essa sta scritto che, a patto che la domanda sia stata depositata entro il 7 gennaio 2003, hanno diritto a restituzione o risarcimento anche quei cittadini stranieri il cui Paese non ha firmato intese interstatali con la Jugoslavia, prima, o con la Croazia poi. La normativa, a cui si è appellata la Corte suprema, ha di fatto spiazzato la Procura statale, mettendola fuori gioco. Ciò non significa, sostengono gli addetti ai lavori, che la Procura non continuerà mettersi di traverso ricorrendo in appello, magari di caso in caso, contribuendo così ad appesantire (leggi rendere meno celeri) le pratiche. A prestare ascolto all’avvocato della famiglia Ebenspanger, lo zagabrese Albin Hotic, potrebbe darsi che il ministero croato della Giustizia (negli ultimi anni nel mirino dell’Unione europea) modifichi ancora una volta la legge. «Gli scenari potrebbero essere due – ha dichiarato Hotic al giornale fiumano Novi List – nel primo, il diritto alla restituzione, senza la firma di ulteriori accordi, potrebbe riguardare i cittadini di quei Paesi, come ad esempio Italia, Stati Uniti, Germania, Austria, che hanno già sottoscritto le intese con la Jugoslavia sugli averi sottratti. Il secondo scenario prevederebbe che nella normativa sia invece cancellata la possibilità di arrivare a nuovi accordi interstatali con quegli Stati che hanno già sottoscritto con la Jugoslavia le relative intese sugli indennizzi per i beni nazionalizzati. È sicuro che le decisioni su quale strada intraprendere non potranno tenere rigorosamente conto soltanto degli interessi finanziari della Croazia, ma anche e soprattutto delle pressioni che arriveranno da Paesi come Austria, Stati Uniti e Italia».

Come più volte scritto, le domande sono 4211, ma si ritiene che soltanto un terzo possano avere basi reali concernenti restituzione o risarcimento. Meno del 30 per cento delle richieste, riguarderebbe inoltre beni di grande valore finanziario. Si parla di un ammontare di circa un miliardo di kune, sui 138 milioni di euro. In Croazia, va detto, la sentenza della Corte suprema non ha trovato vasta eco negli ambienti politici e sui mass media, messa in secondo piano dalla prossima manovra finanziaria.

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