Di quel corpo fanno parte pezzi diversi – italiani e slavi, greci e armeni, ebrei e tedeschi – ciascuno a suo modo prezioso e ciascuno con un senso proprio reso più ricco dalla relazione con le altre parti. La storia di Trieste è una storia plurale, in miracoloso equilibrio per secoli e ormai da un secolo in dissidio insanato.
Ciascuna parte porta memoria propria e distinta degli orrori visti e patìti nell'ultima guerra mondiale, nel Ventennio precedente e negli anni immediatamente seguenti al conflitto. La custodia e l'affermazione della propria memoria, del proprio diritto alla nostalgia, la rivendicazione di un tempo rubato e delle ingiustizie subìte sono un esercizio ad evidentiam legittimo. Ma occorre giunga l'ora del confronto e del riconoscimento reciproco. Senza questo gesto, gli alfieri in politica dell'uno e dell'altro nazionalismo portano la responsabilità congiunta dello stallo drammaticamente irrisolto in cui Trieste versa da troppi decenni.
Lancio a Roberto Menia, una provocazione che nulla toglie al rispetto per la memoria che l'anima. Se è vero che ama Trieste, lui verso la sua città porta più responsabilità di chi a Lubiana gli è speculare sulla sponda politica slovena. Se è vero che ama Trieste, la liberi dal giogo in cui è stretta da decenni nella logica delle opposte memorie. Arrivo alla provocazione: perché non consentire a Turk, Napolitano e Josipovic di deporre una corona d'alloro all'ex Balkan, senza pretendere come contrappasso immediato e irrinunciabile il transito a Basovizza? Chi è davvero forte delle proprie opinioni, non teme di ammettere pure i propri torti. E lascia alla controparte l'onere pubblico di arrivare seconda a riconoscere gli errori propri.
La costruzione della storia può avvenire anche con gesti nobili, che non hanno all'apparenza contropartita immediata. In fondo, nel nome della grande arte e di musicisti che hanno scritto la storia, Riccardo Muti ci richiama alla nostra responsabilità dinanzi al futuro e ai nostri figli. Perché possiamo e dobbiamo passare dal contrappunto della conta dei morti e delle offese al grande concerto sinfonico della memoria condivisa.
Paolo Possamai