di DIEGO ZANDEL
Sono note le attività criminali che hanno accompagnato le diverse guerre balcaniche che si sono succedute nel corso del decennio che va dal 1991 al 2001. Per fronteggiare il costo relativo all’acquisto di armi era necessario attingere ad altre fonti di guadagno che facessero leva su quei mercati più produttivi in termini di quantità e immediatezza. Ovvero: il traffico di donne destinate alla prostituzione, di organi umani destinati ai trapianti e, sopratutto, di droga. L’aspetto saliente sta nel fatto che tutti questi traffici non crescevano ai margini della guerra, come una sorta di indotto procurato dalla guerra in quanto tale, tipo la borsa nera (che pure c’era), né crescevano in maniera antagonistica ai rispettivi stati e alle sue rappresentanze istituzionali, bensì in forme tollerate quando non di complicità più o meno occulta con essi, in forme tali anche da portare al potere degli stessi i capi delle bande criminali.
E’ la tesi di fondo del libro “Notte balcanica”, sottotitolo: “Guerre, crimine, stati falliti alle soglie d’Europa”, edito da Il Mulino (pagg. 234, euro 15,00) e scritto da Francesco Strazzari, docente di Teoria delle relazioni internazionali, Geopolitica delle periferie europee e War and Security Studies all’Università di Amsterdam, il quale, a riguardo, più in generale sottolinea: «Lo studio dei conflitti armati tipici dell’era postbipolare lascia assai pochi dubbi rispetto alla rilevanza che hanno le agende criminali nell’accendere le micce dell’instabilità politica o nell’innesco di meccanismi che aumentano la resilienza di strutture violente: in molti dei conflitti odierni, sopratutto se si guarda alle articolazioni locali, diventa difficile distinguere fra moventi politici e moventi criminali e azzardare analisi circa quale dei due prevalga».
Per cui il problema è più complesso di quanto appaia al fine di capire quanto i conflitti locali siano mossi da esigenze identitarie per così dire patriottiche e quanto invece queste non siano indotte e strumentalizzate per meri interessi di business. È certo che tutte le guerre balcaniche hanno fatto leva su un nazionalismo esasperato, all’ombra del quale gli unici a prosperare sono stati la criminalità e i politici, dal più grande al più piccolo, ad esso collegato.
L’analisi di Strazzari è ben documentata e approfondita, tale da dimostrare con nomi e cognomi, senza, per altro, tema di smentita, la estrema diffusione a ogni livello, a cominciare da quelli più alti, di pratiche di malversazione, corruzione e nepotismo, i cui strascichi, in forme maggiori o minori, si avvertono ancora oggi, mentre sono in corso processi di normalizzazione che dovrebbero portare e, in alcuni casi, hanno già portato – com’è, al di là di alcuni episodi terroristici, il caso della Croazia – alla stabilizzazione democratica. Ma per tutto il tempo delle guerre nessuna entità statale ne è stata esente. È significativo, per restare alla Croazia, che la polizia di questo stato, quando ancora era membro della Federativa jugoslava, era stata riconosciuta come la migliore nella lotta al traffico di droga: è bastato il sentore dell’avvicinarsi della guerra di indipendenza, un anno prima, perché i risultati di questa lotta precipitassero e il traffico di droga diventasse uno strumento sul quale far leva
per comprare, in collusione con la mafia e la banda del Brenta, le armi necessarie a combattere i serbi. È una macchia che è rimasta sullo stesso presidente croato Franjo Tudijman, che pure ha il grande merito politico di aver dato, per primo nella storia, uno stato libero e indipendente al popolo croato.
Strazzari, naturalmente, non lascia nulla di intentato: risale i dieci anni di guerre, da quella croata e serba, poi a quella serba e kosovara, così come i conflitti ai margini con la Macedonia e tutti i collegamenti di complicità e sostegno alle bande armate come ai più diversi traffici che hanno interessato i confini tra i diversi paesi, non esente quello adriatico con l’Italia. Si pensi al rapporto esistente tra la Sacra Corona Unita e il Montenegro o l’Albania. Per il Montenegro è sufficiente citare l’incriminazione del Presidente Diukanovic’, e qui citare, per analogia, quanto Strazzari scrive per l’Albania: «Grazie ai contatti con la Sacra corona unita i profitti crebbero esponenzialmente durante gli anni ’90, fino a sviluppare una strategia di investimento sull’Italia del sud. L’economia albanese cresceva a ritmi senza precedenti, e ai vertici Nato i leader balcanici del sud ricevevano lodi sperticate per aver tenuto la guerra lontana».
I meccanismi sono un po’ gli stessi ovunque. Quanto poi oggi questi metodi influenzino ancora le strutture dei singoli stati, le istituzioni, l’economia, dipendono da diversi fattori. Certamente la responsabilità non appartiene tutta alla politica interna o transnazionale relativamente alla regione nel suo complesso, ma anche a quella internazionale. Si pensi all’affare del Kosovo, sul quale si contendono Stati Uniti e Russia, mentre l’Europa non sembra prendere una decisione originale e autonoma. E stiamo parlando, per dirla con Michel Roux, citato da Strazzari, di “una periferia della periferia”. Quel che è certo, nello specifico, è che Hascim Thaci, già capo del Uck, implicato nei vari traffici, e oggi il leader del paese sostenuto dagli Stati Uniti, che lo usa in funzione di chiari fini di controllo della regione, non solo nei confronti della Russia ma anche in competizione con la stessa Unione Europea.
Più in generale, in questo senso, certamente il libro di Strazzari, nel suo complesso, è preziosissimo, ma si rivela anche una miniera per certi ritratti di personaggi meno conosciuti nelle cronache – ex agenti dei servizi segreti, ras di paese, avventurieri di ogni tipo lanciatisi negli affari e nella corruzione, ora utilizzati ora fatti fuori senza pietà – che potrebbero arricchire il bagaglio narrativo di un romanziere e non solo.