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L’onorificenza a Tito piace a Napolitano (Rinascita 15 feb)

di Valerio Zinetti

Anche quest’anno si è celebrato il Giorno del Ricordo. Sembrano lontani i tempi in cui oltre alle giustissime celebrazioni, strillavano vari faziosi personaggi che sedevano in Parlamento urlando al revisionismo e sostenendo tesi negazioniste (ricordo un manifesto dei Comunisti Italiani, recante la scritta “Nelle foibe solo fascisti e spie”). Almeno ci risparmiamo di sentirli dire queste boiate dagli scranni di Montecitorio e lautamente stipendiati dai cittadini. Tuttavia, il muro del pregiudizio ideologico, se sembra essere caduto in Parlamento, non è certo caduto al di fuori di esso.

Massimiliano Lacota, trentanovenne presidente dell’Unione degli Istriani (che per ragioni anagrafiche non ha vissuto direttamente il dramma del confine orientale, ma che ne custodisce la memoria) ha scoperto nei giorni scorsi uno dei tanti scheletri nell’armadio della Repubblica Italiana: un’onorificenza della Repubblica al Maresciallo Tito e ad altre personalità jugoslave che furono artefici dei massacri anti-italiani, assegnate nel 1969 dall’allora Presidente Giuseppe Saragat con la tragicomica motivazione “umanitaria”. Dato che l’appello al Napolitano per la revoca di questi riconoscimenti è caduto nel vuoto, l’Unione degli Istriani ha scelto comprensibilmente – pur rispettando quelle altre associazioni che condividevano l’appello ma non hanno trovato opportuno polemizzare il 10 febbraio – di non partecipare alle commemorazioni del Quirinale. Un altro caso significativo è quello di Reggio Emilia, dove era stato proposto un cambio della toponomastica cittadina, sostituendo via Tito con via Rolando Rivi, giovane seminarista vittima delle violenze del triangolo rosso. Il capogruppo del Partito Democratico reggiano, rigettando la proposta, ha affermato che Tito “nonostante tutto fu un buon Capo di Stato”.

Terzo aneddoto, visto da me stesso, è stata l’affissione sui muri dell’Università Statale di Milano di un manifesto (recante la sigla di un patetico centro sociale) negazionista che raffigurava un fumetto che irrideva le vittime delle foibe, titolato “Il Giorno della menzogna”. Mi chiedo tra l’altro se nei prossimi giorni qualche pubblico ministero possa essere in possesso di questi materiali e aprire un indagine per apologia di reato, dato che l’irrisione degli infoibati e l’esaltazione di un infoibamento non vedo come possano essere altrimenti classificati. Ma forse chiedo troppo.

Io sono sempre stato un sostenitore della libera ricerca storica. Infatti, la legga che istituisce il Giorno del Ricordo non pone limiti e non vieta discussioni storiografiche sugli avvenimenti che tra la fine della seconda guerra mondiale e l’immediato dopoguerra colpirono il confine orientale, ma si è trattato di un atto con il quale la Repubblica Italiana cerca di riparare l’omertoso silenzio che per decenni c’è stato su quegli avvenimenti (il tutto per non urtare equilibri politici internazionali, ma anche con molta vigliaccheria). Il negazionismo sulle foibe lo dobbiamo combattere cercando di fare conoscere tramite convegni, mostre, libri e quant'altro la verità storica al maggior numero possibile di persone. La forza della verità non necessita di leggi repressive, ma di volonterosi disposti a difendere e diffonderla.

Quello che ritengo inammissibile è la tolleranza verso contenuti come quello del manifesto di cui ho parlato. Quasi che l’appartenenza ideologica possa giustificare l’esaltazione pubblica di un genocidio, che è a tutti gli effetti apologia di reato.

Sono del parere che comportamenti come la non cancellazione (per ora, speriamo in un atto di Napolitano in tal senso il prima possibile) di onorificenze e di intitolazioni di strade a Tito e ai suoi sodali fungano da humus per questa tolleranza divenuta intollerabile. Sono però ottimista, perchè nonostante tutto il Giorno del Ricordo vede ogni anno una sempre maggiore partecipazione, e quindi mi auguro che ciò prima o poi provocherà la fine di comportamenti e scelte istituzionali che per la loro ambiguità rischiano di fornire alibi a chi pensa ancora di poter dare a bere la versione storiografica che fa passare i carnefici come le vittime.

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