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Lontani dal proprio mare (Messaggero S.Antonio nov-10)

MELBOURNE – Pino Bartolomè, presidente dell’Associazione Italo Australiana Città di Fiume a Melbourne, nel libro Esilio e nuova vita sotto la Croce del Sud fa una descrizione attenta del fenomeno dell’esodo di migliaia di italiani da Fiume e dall’Istria, unendo la sua voce a quella di un ignoto poeta istriano: «Un giorno si racconterà/di un popolo che per vivere libero/andò a morire lontano./Lontano dal proprio mare/e in una terra rossa che/vista dall’alto/sembrava un cuore insanguinato.

L’esodo delle popolazioni istriano-giuliano-dalmate, avvenuto nell’immediato dopoguerra, è un fenomeno che, purtroppo, non ha avuto una rilevanza particolare nella storia dell’Italia. Solo qualche anno fa, con l’istituzione del «Giorno del Ricordo» si è iniziato a scrivere e parlare, in modo documentato e serio, dell’esilio a cui sono state costrette 350 mila persone.

In base alla legge n. 92 del 30 marzo 2004 «la Repubblica italiana riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra (…). Sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni e di enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende. Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate».

La legge è arrivata dopo un lunga attesa della comunità degli esuli, durata oltre sessant’anni. La caduta dei blocchi in Germania e nei Paesi dell’Est europeo, ha permesso che venisse riconosciuta la tragedia di tutte quelle popolazioni «frontaliere» che a causa della guerra hanno subito la triste condizione di diventare persone senza patria, o semplicemente profughi.

Gli italiani che vivono nei grandi Paesi d’emigrazione, come Canada, Stati Uniti, Argentina e Australia, conoscono il fenomeno dell’esodo istriano meglio degli italiani in patria, poiché all’estero le comunità istriane sono numerose, attive, bene organizzate e inserite in un contesto sociale di «italianità» serena e costruttiva.

Proprio dagli esuli di queste comunità è nata anche un’interessante bibliografia, basata su esperienze personali e su un’attenta ricostruzione degli eventi storici. Di recente questa bibliografia è stata arricchita proprio dal libro di Pino Bartolomè, interessante sia dal punto di vista storico che letterario. Il saggio è sempre vivace nella narrazione, nella limpidezza del linguaggio, e nel taglio della cronaca.

«Il libro – spiega Bartolomè nella premessa – è suddiviso in due parti: la prima narra gli avvenimenti che ho vissuto personalmente e che hanno vissuto i miei genitori e le mie sorelle dall’esilio fino al nostro arrivo, e la sistemazione definitiva in Australia. La seconda parte è un mix di fatti storici, di racconti personali di altri esuli, di liste dei campi profughi in Italia e degli ostelli per emigranti che ci hanno accolto in Australia. Fanno parte della seconda parte anche brevi storie sull’associazionismo dei giuliano–dalmati per far comprendere al lettore come questa nostra comunità di diplaced persons sia risorta dalle ceneri, e si sia reinventata nel Paese d’accoglienza per unire e tenere viva la storia e le tradizioni delle sue genti».

Pino Bartolomè nacque nel 1936 a Fiume dove frequentò, durante l’occupazione jugoslava, la scuola elementare Alessandro Manzoni e la Scuola media Belvedere. In Australia si è specializzato in elettromeccanica, e negli anni Sessanta ha fondato la ditta Bartolomè Electrical Engineering Pty Ltd. Ha preso parte attiva in seno al Circolo Fiumano, e nel 1985 ha svolto un ruolo importante nella fondazione dell’Associazione Italo–Australiana Città di Fiume di cui è presidente dal 2001. Bartolomè ha la passione di fare ampie e dettagliate ricerche negli archivi australiani e internazionali di documenti sulla diaspora degli esuli giuliano-dalmati, e ha consegnato centinaia di fotografie e documenti alla Società Storica Italiana di Melbourne.

Bartolomè scrive che «Nel 1945 Fiume venne occupata dalla Jugoslavia e poi annessa assieme all’Istria con il Diktat del 10 febbraio 1947, al quale seguirà, nel 1975, il Trattato di Osimo. Il nome della città venne cambiato dagli jugoslavi con Rijeka. Alla fine della Seconda Guerra mondiale, Fiume contava 68 mila abitanti, la maggioranza dei quali, circa l’85%, optarono per mantenere la cittadinanza italiana. Negli anni seguenti lasciarono in massa la città per sottrarsi alle persecuzioni e al terrore comunista, prendendo la via dell’esilio».

«Abbandonammo la nostra cara Fiume la sera del 10 ottobre 1948 con il cuore gonfio. Sapevamo che non saremmo più tornati a vivere nella nostra terra nativa. Per i miei genitori, come per tutti gli adulti, la separazione fu particolarmente dolorosa. Lasciavano per sempre i parenti e gli amici, e abbandonavano nel camposanto di Cosale i loro avi che erano il simbolo delle radici profonde che da secoli li legavano alla loro terra (…) La distanza tra Fiume e Trieste era di soli 75 chilometri. Lasciammo alle spalle il nuovo continente jugoslavo ed entrammo nel Territorio Libero di Trieste sotto il comando anglo-americano. Un grido di gioia scoppiò sul treno: “Liberi”. All’indomani del nostro arrivo a Trieste fummo spediti in treno al centro smistamento profughi di Udine, un ex campo di prigionieri di guerra alleati». Pino Bartolomè aveva 12 anni.

Iniziò così il girovagare della famiglia Bartolomè nei centri d’accoglienza dei profughi, sempre segnata dalla solita trafila: registrazione, assegnazione di brandine, coperte, gavette, posate, vestiti donati dalla Croce Rossa Italiana. Liberi sì, ma il prezzo della libertà era alto. Il governo italiano di allora volle intenzionalmente disperdere gli esuli in tutto il territorio nazionale onde prevenire raggruppamenti e proteste. I «centri raccolta» che ospitarono gli esuli giuliano-dalmati erano circa 120 tra il 1945 e il 1960. Alcuni esuli vissero in questi campi per periodi anche di dieci anni. I Bartolomè vennero assegnati al campo profughi di Gaeta, uno dei peggiori dal punto di vista del vitto e dell’alloggio. Il grande nemico era la noia, l’ozio. Per i ragazzi, l’unico svago era qualche partitina a pallone nell’oratorio dei Salesiani di Don Bosco. Finalmente l’intervento dell’IRO: l’International Refugee Organization, portò sollievo e speranza a centinaia di famiglie. I Bartolomè vennero chiamati a Roma per un esame di idoneità all’espatrio, divenendo in tal modo da profughi a emigranti. Seguì il trasferimento in altri campi come Carinaro d’Aversa e Bagnoli. Qui vi fu un momento di grande paura e sconforto quando circolò la notizia che il quartier generale dell’IRO, a Ginevra, aveva emesso un decreto che dichiarava che gli esuli giuliano-dalmati che avevano optato per la nazionalità italiana non dovevano essere considerati displaced persons, ma cittadini italiani a tutti gli effetti, senza diritto di emigrare. «Inoltrammo un ricorso a Ginevra – scrive Pino – eravamo disperati e decisi ad andare in qualsiasi parte del mondo (…). Fortunatamente il nostro appello venne accettato da Ginevra».

«Il giorno dell’imbarco per l’Australia venne fissato per il 3 gennaio 1952 con partenza dal porto di Brema. Sulla motonave Nelly eravamo in 1.250 di diverse nazionalità, inclusi 125 giuliano-dalmati. Finalmente, dopo quattro lunghi anni passati a languire nei campi profughi, si chiudeva un’altra pagina della nostra vita. Addio Fiume, Istria e Zara! Addio Italia, incapace di proteggere e assistere i tuoi figli! Addio vecchia e martoriata Europa divisa. Ci aspettava un continente nuovo e la speranza di una vita migliore. Finalmente Melbourne! Era il tardo pomeriggio del 9 febbraio 1952, e avevamo navigato per 37 giorni. Ci riversammo tutti sul ponte per ammirare in lontananza l’illuminazione di quella che sarebbe diventata per molti di noi la nostra nuova città».

Nella seconda parte del libro, Pino Bartolomè racconta il periodo, non facile, della sistemazione in Australia, e poi l’espansione e la crescita della comunità istriana e delle associazioni, sia sportive che sociali e culturali (la squadra femminile di pallacanestro, il Circolo Fiumano, L’Associazione Italo Australiana Città di Fiume, il Coro Adriatico, La Famiglia Istriana, il Club El Morbin, il Club Giuliani di Geelong, il Gruppo Polesano, il Circolo Dalmatico Jadera, il Lussin Cherso Social Club, ecc.). La pubblicazione del libro è stata resa possibile anche grazie a un contributo della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia e dell’Associazione Giuliani nel Mondo di Trieste.

Le eventuali richieste del libro, vanno rivolte all’autore: Pino Bartolomè, 44 Curlew Ave, Altona 3018 Victoria – Australia

(Germano Spagnolo- Messaggero di sant'Antonio, edizione italiana per l'estero, numero di novembre/Inform)

 

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