Due posizioni a confronto sull’italianità della Dalmazia. La replica di Cipriani alla rubrica storica de “l’Opinione” del 27 giugno e la risposta di Oneto
Dalla ragione al torto
di Carlo Cetteo Cipriani
Il 27 giugno, nello stesso giorno nel quale, invero con un po’ di ritardo, avevo terminato di leggere il libro di Monzali “Italiani di Dalmazia” pubblicato già nel 2001 da “Le Lettere di Firenze”, mi trovo a leggere su l’Opinione un articolo di G.Oneto sugli Italiani di Dalmazia che mi sembra parta da alcuni dati di fatto sbagliati che lo fanno poi arrivare a conclusioni imprecise. Vorrei quindi precisare alcune cose e, con l’occasione, consigliare a tutti la lettura del libro di Monzali per aggiornarsi sulle vicende della Dalmazia nell’800-‘900. Ritengo che la prima imprecisione di Oneto, ma forse è una presa di posizione ben determinata, è l’accusa all’Italia del 1915 di aver abbandonato l’alleanza con l’Austria. Personalmente credo invece che i governanti di allora non avessero alternative, visto come venivano trattati per mesi con sufficienza da Vienna. Per cosa avremmo dovuto combattere a favore dell’Austria? Mesi di trattative dimostravano come la dirigenza viennese non avesse nessuna considerazione dell’Italia e continuava a prender tempo per non soddisfare le richieste italiane. Quelle discussioni fra Roma e Vienna ricordano le trattative per l’Università in lingua italiana che le autorità imperiali riuscirono a procrastinare per almeno 40 anni fra promesse e rinvii, prendendo in giro gli austroungarici di lingua italiana. Ma concedo che il problema dell’entrata in guerra nel 1915 possa esser variamente considerato.
Dove non concedo è in alcuni errori sostanziali. Si comincia col dire che il primo “censimento etnico” in Dalmazia fosse del 1910 mentre è risaputo che era il quarto: gli altri c’eran stati nel 1880, 1890, 1900. Per la Dalmazia si passò da 27.305 italiani dichiarati a 16.000, poi a 15.279. Nel 1910 ci fu una risalita a 18.028. Significativa l’elevata variabilità nelle singole località, che per brevità qui non si cita. Una diminuzione costante mentre la popolazione totale dalmata cresceva del 1,4 per cento all’anno. Si può ipotizzare che più d’uno si sia fatto convincere a dirsi croato per qualche ‘spinta’ esterna? Altra grossa imprecisione è mischiare i nazionalismi croato ed italiano. In una regione che dopo centinaia d’anni di dominio veneto viveva tranquilla, pur con molti problemi, sorsero a metà ‘800 alcuni “intellettuali”, spesso religiosi, che cominciarono a sognare la Dalmazia unita alla Croazia, come mai era stato nella storia. La classe dirigente di allora si oppose riuscendo a bloccare il progetto e fondò il Partito autonomista, legato ai circoli liberali di Vienna e che proponeva una Dalmazia autonoma dove convivessero le tre etnie principali: croata, serba, italiana, con le piccole minoranze di albanesi ed ebrei. Esponenti principali di questa idea erano Lapenna di Zara e Bajamonti di Spalato.
I croatizzanti rifiutavano questo progetto proclamando che in Dalmazia non c’erano italiani ma che si trattava di croati “italianizzati”dal dominio veneto o per moda. Scatenarono quindi una dura battaglia contro il partito autonomo e contro la presenza culturale italiana in Dalmazia facendo chiudere tutte le scuole pubbliche in lingua italiana ed imponendo il croato come unica lingua della pubblica amministrazione. A fine ‘800 iniziarono anche le violenze fisiche contro gli autonomi e coloro che si esprimevano in italiano: dal boicottaggio dei negozi con insegne in italiano ad assalti veri e propri con feriti e danneggiamenti gravi, mentre le autorità dirette da Vienna stavano a guardare. Solo nei primi anni del ’900, sentitisi oramai con le zanne al collo, gli Italiani di Dalmazia si convertirono all’irredentismo vedendo nell’annessione all’Italia l’unica possibilità di salvare la propria identità. Non fu una scelta semplice e subito condivisa da tutti, ma ritenevano di non avere alternativa. O divenire croati o emigrare, o provare a far arrivare l’Italia. Quasi sempre chi viene messo alle strette si difende come può. E d’altro canto ad inizio ‘900 era opinione comune che l’Austria-Ungheria sarebbe scomparsa presto, vittima delle tensioni nazionali, dello jugoslavismo che voleva unire tutti i popoli slavi.
Altra imprecisione grave riguarda le date dell’abbandono della Dalmazia dopo la prima guerra mondiale, indicata nel 1922. In realtà nel 1921 fu abbandonata in fretta e furia la maggior parte della Dalmazia (quanti pianti, quanti dovettero svendere al 10% le proprietà pur di recuperare qualcosa) mentre una piccola parte di territorio attorno a Zara fu abbandonata solo nel 1924-25.
Non so dove Oneto prenda i dati sull’esodo del 1920-25, però Zara nel 1927 aveva oltre 17.000 abitanti. Se anche solo 15000 erano italiani, con 2.585 esuli e 6.802 italiani residenti nella Dalmazia jugoslava siamo ad oltre 24.000, un terzo più del 1910. Sappiamo anche però che tanti italiani rimasti in Dalmazia jugoslava presero la cittadinanza jugoslava e lentamente si croatizzarono. Sappiamo anche come gli italiani che vivevano nella Dalmazia jugoslava fra le due guerre mondiali vivessero in grave disagio, emarginati, con problemi di lavoro, scuole pei figli, identità e rapporti sociali. Mi hanno insegnato che la storia non si fa coi se e coi ma. Però l’ipotesi di uno stato dalmata autonomo nel 1919 mi sembra utopia, visto lo sciovismo estremo della dirigenza croata che aveva negato e fatto drasticamente ridurre la componente italiana della Dalmazia.
La logica del 1919 avrebbe voluto invece la Dalmazia tutta annessa all’Italia forte delle tradizioni del risorgimento e dello stato liberale che avrebbero assicurato agli slavi il mantenimento della loro identità, come lo Statuto Albertino prevedeva per i francofoni del Piemonte. In tal senso si impegnò dal 1919 al 1922, a fianco di vari Presidenti del Consiglio, Antonio Salata, esponente del liberalismo istriano. Purtroppo l’annessione non ci fu, contribuendo a far andare al potere quel fascismo che poi tanti altri problemi provocherà. Il fascismo che a parole si proclamerà difensore della Dalmazia italiana ma che nei fatti cercava accordi con Belgrado e Zagabria tacitando i Dalmati in penisola e regalando ai Croati il collegio di San Girolamo a Roma oltre che scellerato sostegno a Pavelic (che sarà fra i più cattivi antitaliani della II guerra mondiale, passando poi la cattiveria ai croati titini). Come spesso capita, le storie delle zone di confine sono complicate, la loro ricostruzione obiettiva è difficile, non è detto però che sempre gli altri abbiano ragione.