Sono trascorsi sei anni da quando è stato rotto il diaframma di cemento che ricopriva il pozzo minerario di Huda Jama svelando l’orrore. In fondo alla cavità, infatti, giacevano e giacciono ancora i cadaveri di almeno 2.500 vittime della violenza dei partigiani di Tito che giustiziarono sommariamente domobranci ma anche gente comune che non voleva abbracciare la “buona novella” comunista trasformandosi così automaticamente in nemico del popolo da eliminare. A essere esumati sono stati i resti di 778 persone. Resti che giacciono impietosamente raccolti in sacchi di plastica all’interno di una galleria della miniera. Per loro, e per le migliaia ancora nel buco, nessuna sepoltura, nessuna lapide, e tantomeno nessun monumento, per ricordare questa orribile pagina della storia del XX secolo. E nulla si prevede neppure quest’anno quando il 9 maggio sarà celebrata la fine della Seconda Guerra mondiale. E di Huda Jama resta ancora la testimonianza di un uomo che all’epoca dell’eccidio guidava uno dei camion che trasportavano i prigioneri, rinchiusi nel campo di concentramento di Teharje nel loro ultimo viaggio. I camion trasportarono per sette noti consecutive le vittime davanti alla miniera, fino a quando questa non si è riempita di cadaveri.
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