di MAURO MANZIN
TRIESTE A volte ritornano. Anche se quelli che lo fanno non sono mai usciti dalla memoria collettiva. È il caso del defunto padre-padrone della Jugoslavia, Josip Broz Tito a cui il Consiglio comunale di Lubiana a grande maggioranza (ma è uscito dall’aula al momento della votazione il centrodestra) ha deciso di intitolare nuovamente una delle strade principali della capitale slovena. Si tratta di un’arteria di nuova progettazione che dall’area di Zale raggiungerà la centralissima Dunajska cesta. La decisione è stata adottata la notte scorsa con 24 voti a favore e quattro contrari, con il Partito democratico, come detto, (Sds, centrodestra) che per protesta non ha partecipato al voto. Il leader dell'Sds, Dimitri Kovacic, ha sottolineato che una tale decisione ignora la posizione dei tanti sloveni che non sono d'accordo e calpesta la memoria delle vittime del terrore comunista. Il sindaco di Lubiana, Zoran Jankovic (di origini serbe), ha da parte sua difeso la decisione affermando che in un recente sondaggio il 60% degli abitanti della capitale si sono espressi a favore. «I fatti storici possono essere interpretati in modo diverso, ma ciò non deve impedire di intitolare strade col nome di personalità storiche», ha osservato. L'opposizione di centrodestra tuttavia ha presentato al sindaco una lista di 5.094 firme di cittadini i quali ritengono che nè Lubiana nè la Slovenia hanno bisogno di una via intitolata a Tito.
Nato il 7 maggio 1892 a Kumrovec, in Croazia, l’uomo che liberò la Jugoslavia dall’ocupazione nazi-fascista era di madre slovena (Marija) e padre croato (Franjo) e questo gli attirò le accuse di serbi e bosniaci di esercitare, durante la sua presidenza, un potere molto benevolo nei confronti della terra materna slovena. Un’accusa neppure troppo campata in aria, visto che negli anni Settanta era tollerata proprio in Slovenia la proprietà privata anche di alcune piccole industrie, fatto che ha permesso a Lubiana di avvicinarsi, e di molto, agli standard austriaci e italiani. In effetti, Croazia, Bosnia e Serbia facevano storia a sè. C’è però il problema degli eccidi effettuati dai titini alla fine della Seconda guerra mondiale (una fossa comune con tremila morti è stata di recente riesumata). Eccidi che vengono regolarmente perseguiti dalla magistratura slovena. Ed è su questo punto che si sono concentrate le ire dell’opposizione di centrodestra al Consiglio comunale di Lubiana. Centrodestra che ha così fortemente contestato, fino ad abbandonare i lavori del Consiglio, che venisse «premiato» colui il quale era comunque il responsabile di questi eccidi non solo di militari, ma anche di civili, rei solamente di essere contrari al regime social-comunista che si stava instaurando in Jugoslavia.
Sta di fatto che statuette e «icone» del maresciallo Tito non sono mai sparite dalla Slovenia e a Lubiana si possono tranquillamente acquistare nei negozi di souvenir. E c’è poi il precedente di Capodistria. Subito dopo l’indipendeza ci fu la proposta di cambiare il nome della centralissima piazza Tito. Idea immediatamente rientrata vista la quasi sollevazione popolare che la stessa aveva innescato. E così, ancora oggi, lo splendido edificio della Loggia, al termine della Calegheria, si affaccia su piazza, rigorosamente, Tito.
Un ricordo personale, infine, può far riflettere al di là di tutte le elucubrazione socio-politiche che il fenomeno Tito è in grado di ispirare. Nel 1991, conquistata l’indipendenza, passeggiavamo per le stanze della presidenza slovena assieme all’allora capo dello Stato Milan Kucan. Ad un tratto ci trovammo di fronte a una enorme statua di Tito. Un po’ titubante chiesi al capo dello Stato: «Presidente ma di questo simbolo che ne farete?». La risposta fu più che emblematica. Presomi per il braccio Kucan mi sussurrò all’orecchio: «La toglieremo, certo, ma sa, dopo tutto, con lui non si stava tanto male».