di FRANCO BABICH
LUBIANA Molto è stato fatto, molto si poteva e si può fare meglio. È questo, in sintesi, il giudizio che gli sloveni danno di sé e del proprio Paese nei giorni in cui festeggiano il 20.o anniversario del plebiscito per l'indipendenza. Il 23 dicembre 1990 alle urne si recò il 93,2% degli elettori, di cui la stragrande maggioranza, il 95%, si espresse per il distacco dalla Federazione jugoslava e per la costituzione di uno Stato autonomo.
I risultati furono proclamati il 26 dicembre. L'anno successivo, il 25 giugno 1991, l'indipendenza divenne realtà. Quella scelta non è stata indolore, hanno rilevato nei loro messaggi alla nazione il presidente della Repubblica slovena Danilo Türk e il premier Borut Pahor. Ci fu una guerra di 10 giorni che provocò alcune decine di morti, ma per la Slovenia è stato l'inizio di un periodo di risultati importanti.
«Dobbiamo essere reali, non abbiamo fatto poco. Siamo parte dell'Unione europea e della Nato e di tutte le altre organizzazioni internazionali. Si vive meglio di 20 anni fa, i nostri parametri economici sono promettenti, si aprono nuove prospettive, anche se a causa della crisi economica facciamo fatica a riconoscerle» ha rilevato il capo dello Stato nel suo messaggio ai cittadini. Tra i risultati ottenuti, ci sono senz'altro anche l'introduzione dell'euro, l'adesione all'Area Schengen, il semestre di presidenza dell'Unione europea nel 2008. Lo scoppio della crisi finanziaria ed economica globale ha però messo a nudo pure le debolezze della transizione economica, per cui una casta di privilegiati, grazie alla privatizzazione, si è impadronita di buona parte di quello che una volta era la ”proprietà sociale”. È stato un processo per certi versi meno selvaggio che in altri Paesi dell'Est Europa, ma per buona parte della popolazione slovena è stato una delusione, anche rispetto alle grandi aspettative dei primi
Anni 90. Questi primi 20 anni dell'indipendenza slovena sono però anche gli anni dei ”cancellati” e del rapporto non sempre corretto verso gli ex ”fratelli del Sud”, gli altri popoli jugoslavi. C'è stato il censimento del 2002 che ha rivelato la drastica riduzione del numero degli appartenenti alle minoranze nazionali costituzionalmente più protette – italiani e ungheresi – e c'è stato anche il lungo strisciante confronto con la Croazia sulla questione confini.
Soprattutto, però, la Slovenia del 2010 è molto divisa e molto lontana da quella, unita nonostante le diversità, che ha caratterizzato il plebiscito. Si sono risvegliati lo scontro culturale e quello ideologico tra figli di partigiani e figli di domobranzi, è ripresa la battaglia infinita sull'interpretazione della Storia. Neanche questi festeggiamenti ne sono immuni, per cui tre ex capi di governo dell'area di centrodestra, Lojze Peterle, Andrej Bajuk e Janez Jansa, hanno rifiutato l'invito del presidente della repubblica Türk di far parte del Comitato per le celebrazioni del ventennale dell'indipendenza. È un anniversario importante, dunque, ma che trascorre un po' in sordina, senza particolari entusiasmi. Le celebrazioni continueranno nel 2011 con i 20 anni della proclamazione dell'indipendenza – il 25 giugno – e termineranno nel gennaio del 2012, con il ventennale del riconoscimento internazionale della Slovenia.