di Stelio Spadaro
Caro Collotti, è importante che l’opinione pubblica sia cosciente che nella Venezia Giulia non furono solo due i totalitansmi, fascismo e nazismo macchiatisi di imperdonabili crimini ma tre anche il comunismo
E’ utile ripercorrere le tracce di una discussione avviata dal prof. Enzo Collotti sulle colonne del manifesto (11/2/2007) a proposito delle celebrazioni del Giorno del Ricordo delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata e dell’intervento in merito del Presidente Giorgio Napolitano. È utile perché la storia del confine orientale italiano, come ha sottolineato Emilio Gentile sull’ultimo numero del supplemento domenicale del Sole 24 Ore, non si colloca nei limiti angusti di una storia locale bensì è in grado di sollevare questioni sempre attuali sul problema della nazione italiana e sulla debolezza della coscienza nazionale nello Stato unitario, fin dalla sua costituzione, e non solo dopo la Seconda guerra mondiale». Inoltre, quella storia coinvolge la capacità di molta parte della nostra storiografia di aggiornare le sue categorie interpretative e di colmare i suoi ritardi.
L’articolo di Collotti appare ricco di stimoli e suscita non poche riflessioni. Nel suo scritto, egli fa appello giustamente alla necessità di leggere una vicenda lunga e travagliata, come quella del confine orientale, in modo completo, dosando gli accenti su tutti i suoi distinti momenti, non enfatizzando alcune pagine piuttosto che altre; il solo modo per comprendere nella sua integrità quella storia, dice Collotti, è non leggerla a salti, e in ciò mi sento di sottoscrivere con convinzione la sua questa indicazione di metodo che risultano evidenti nell’articolo in esame alcuni punti problematici, sui quali è forse utile proseguire la discussione.
A ben vedere, il perno del ragionamento di Collotti si colloca – e si rivela – in un passo preciso del suo articolo, quello in cui si fa riferimento alla “menzogna dell’italianità offesa.., e alla realtà dell’italianità sopraffattrice”. Qui, Collotti applica canonicamente lo schema storiografico antifascista in senso riduttivo,
che si è sorretto per decenni su due postulati argomentativi. Il primo era quello che tendeva a veicolare tutta l’attenzione sulle violenze e le responsabilità del fascismo. Ne sortivano più o meno volontariamente alcune implicazioni: in primo luogo il disagio a concettualizzare le colpe di cui si macchiarono le forze dell’antifascismo comunista e nazionalista jugoslavo dopo l’8 settembre del 1943 e alla fine della guerra; in secondo luogo, la difficoltà a recepire la realtà del lungo e sanguinoso conflitto nazionale che ha lacerato una terra plurale come la Venezia Giulia. Il risultato è stato quello di nascondere dentro un cono di silenzio e oblio tali eventi e la loro memoria. Peraltro, lo schema azione-reazione (azione: fascismo; reazione: foibe ed esodo), la prima da condannare e la seconda da giustificare, andava e va in frantumi non appena si consideri che vittime del progetto politico comunista jugoslavo furono anche molti sloveni e croati non comunisti.
Il secondo postulato, partendo dall’assunto della, sconfitta italiana come dato positivo, comportava l’assenza di ogni ragionamento politico e storiografico in grado di far sua una sensibilità nazionale che permettesse di comprendere un fatto ben rilevante nella storia d’Italia, come quello rappresentato dall’ amputazione di una parte non marginale della comunità nazionale.
All’esodo, non a caso, si fa cenno nell’articolo di Collotti solo come alla pagina-simbolo della sconfitta militare del fascismo. Manca la percezione delle sofferenze che la mutilazione del territorio nazionale ha provocato in centinaia di migliaia di italiani.rappresentanti la vera, concreta e tragicà relatà di un’ italianità offesa dopo la Seconda guerra mondiale. Quell’evento infatti vide colpiti in massa degli innocenti, costretti ad abbandonare i loro luoghi, la terra dei loro padri e delle loro madri. Ma non va dimenticato che l’italianità fu pure offesa nell’opera di persecuzione, liquidazione fisica e marginalizzazione, condotta dall’antifascismo comunista e dal nazionalismo jugoslavo ai danni della componente politica deIl’antifascismo patriottico e democratico, che nella Venezia Giulia poteva contare su robuste radici e illustri esponenti.
Il professor Collotti è libero di non nominare neppure una volta, e neppure per inciso, il termine comunismo nel suo articolo; tuttavia resta importante che l’opinione pubblica nazionale sia cosciente che nella Venezia Giulia non furono solo due i totalitarismi, fascismo e nazismo, macchiatisi di imperdonabili crimini, ma tre, compreso il comunismo. E questo è uno degli aspetti che fanno del caso giuliano una sorta di paradigma della storia europea. Senza la consapevolezza di questo elementare dato, ogni ragionamento sulla storia del Novecento nella Venezia Giulia e in Europa resta monco e incompleto, impigliato in fragili griglie ideologiche, per tanti versi menzognere. Sono stati infatti schemi di questo tipo, elaborati e propagandati per decenni da una certa storiografia sclerotizzata, unilaterale, faziosa e ripetitiva ad aver alimentato quella «congiura del silenzio» denunciata con accenti partecipi dal Presidente Napolitano nel suo discorso di commemoraziòne. E proprio grazie a tale silenzio si è aperto un vuoto di coscienza storica e civile che è stato riempito dalla destra con narrazioni strumentali, tese a salvare la reputazione del fascismo, a non approfondirne le molteplici responsabilità, ad agitare la memoria degli eventi del confine orientale contro la Repubblica e a non inserirli invece dentro la coscienza repubblicana, come parte della storia di tutti gli italiani. Il sequestro della memoria delle foibe e dell’esodo da parte dell’estrema destra – tentativo continuato persino quest’anno – ha contribuito a bloccare o a frenare il recupero della storia del confine orientale nella memoria repubblicana.
Oggi, per fortuna, non siamo più prigionieri di quel sequestro. Siamo invece tutti coinvolti nella costruzione di un nuovo discorso pubblico, sia storiografico che politico, affinché si possano delineare i tratti di una storia comune (distinta da una impossibile memoria condivisa!) che accolga e dia espressione ai differenti e contrapposti vissuti, nella ferma coscienza del dolore arrecato all’altro e al fine di collocare tali memorie in una prospettiva europea, capace di lasciarsi alle spalle gli orrori del passato. Ecco perché una riflessione sulle vicende di lungo periodo attraversate da quelle terre d’Italia e d’Europa può contribuire ad approfondire e chiarire una serie di nodi, riguardanti le modalità In cui la nazione italiana, oggi, si rapporta al suo passato al comune futuro europeo