In uno dei volumi della sua fortunata "Storia d'Italia", quando si arriva al Trattato di Pace del 1947, Indro Montanelli, in sintetiche ma esaurienti espressioni, riassumeva la tragedia degli istriani, fiumani e dalmati parlando di una "corona di spine". Infoibamenti, morti per annegamento, colpi alla nuca, e via elencando nella grande mattanza compiuta dai titini, erano state le caratteristiche di quel tempo in cui essere italiani, semplicemente, costituiva una colpa, un delitto!
Dalla Dalmazia, per varie ragioni, e in vari frangenti, erano riusciti a scampare al genocidio alcuni personaggi che avrebbero poi onorato l'Italia in campi diversi: Nicolò Luxardo De Franchi e Ottavio (Tai) Missoni, appartenenti a famiglie illustri nel loro "settore" e nelle loro città.
I Luxardo erano a Zara fin dal 1821 con Girolamo, la cui immagine è affidata a un quadro di Hayez. La "dinastia del Maraschino" non avrebbe comunque conosciuto sconfitta.
Perché a prezzo di sacrifici, Nicolò (classe 1927), abitante a Padova, e padre di due figli, ricostruì quanto distrutto dai bombardamenti alleati del 1944 su Zara, mettendo a coltura le piante di marasche sui Colli Euganei e aprendo la fabbrica a Torreglia. Proseguendo in tal modo la produzione di liquori famosi ai quattro angoli della Terra: dal tradizionale Maraschino allo cherry battezzato da D'Annunzio a Fiume "Sangue Morlacco".
Si deve a Nicolò peraltro un'attività culturale meritoria con la pubblicazione della "Rivista Dalmatica di Storia Patria" (da lui diretta) e di alcuni libri, fra i quali, emblematico, "Dietro gli scogli di Zara" (Editrice Goriziana) sulla vicenda del padre e dello zio fatti scomparire dai titini, nonché la storia della famiglia
Senza una tradizione alle spalle (perché l'avrebbe avviata lui), ecco Ottavio Missoni, meraviglioso ottantottenne, da Ragusa (oggi Dubrovnik), già atleta di valore nei 400 metri piani e nei 400 ostacoli, otto volte campione italiano e nel 1939 campione mondiale studentesco. Combattente nella seconda guerra mondiale e fatto prigioniero dagli inglesi a El Alamein, si vide interrotti gli studi e l'attività agonistica.
La grande impresa nel campo dei tessuti venne propiziata nel 1953 quando sposò Rosita Jelmini, la cui famiglia possedeva una fabbrica di scialli nel Varesotto, mentre lui aveva aperto a Trieste un laboratorio di maglieria in società col discobolo Giorgio Oberwerger.
Nelle biografie di Tai, diventato famoso nel mondo, si legge che la sua caratteristica è "di non prendere sul serio né sé stesso né il suo mestiere".
Ma quando parla della piccola patria perduta, eccolo rabbuiarsi e buttar fuori tutto il dolore, l'amaritudine amarissima (per dirla col Salmista) di un uomo che reca una ferita insanabile. In un'intervista recente al "Piccolo" di Trieste diceva di un ritorno impossibile perché la sua città e quella Dalmazia non esistevano più!
Ed esprimendosi fra italiano e dialetto, finiva per coinvolgere il lettore in una tragedia, finita sì, ma mai dimenticata.
Giovanni Lugaresi