Nel 2005 è nata a Bruxelles la Rei, Rete per l’eccellenza dell’italiano istituzionale. È un’iniziativa cresciuta dal basso, anche se si appoggia a una struttura istituzionale, il dipartimento italiano della Direzione generale della traduzione della Commissione europea. L’idea è molto semplice: di fronte alle difficoltà di scrivere testi istituzionali giuridicamente corretti ma al tempo stesso accessibili ai cittadini, una strada da percorrere è quella di condividere problemi e soluzioni tra tutti i professionisti che, a diverso titolo e in diversi luoghi, si occupano della redazione di tali testi.
Al giorno d’oggi le norme che regolano la vita di tutti noi (direttive europee, leggi italiane, leggi regionali, ordinanze comunali) costituiscono un insieme amplissimo e complesso di testi, tutti in qualche misura collegati tra di loro. Il punto di partenza è dato dalle direttive europee, che non nascono in italiano, ma sono traduzioni di testi originariamente concepiti in altre lingue.
Si pongono in continuazione problemi terminologici nel trasporre in italiano nuovi principi istituzionali creati in lingue diverse dalla nostra e su uno sfondo istituzionale diverso da quello italiano. E ci sono delicati problemi di armonizzazione tra il lessico e lo stile dei testi europei e quelli dei testi italiani.
È un problema di cui ci si occupa con attenzione anche a Trieste: appena nello scorso dicembre al Dipartimento di Scienze Giuridiche, del Linguaggio, dell’Interpretazione e della Traduzione è stata organizzata da Stefano Ondelli una tavola rotonda su “Realizzazioni testuali ibride in contesto europeo: lingue dell’Ue e lingue nazionali a confronto”.
L’italiano non è, però, usato come lingua istituzionale solo in Italia e, conseguentemente, nelle istituzioni europee. Ci sono altre realtà nazionali nelle quali l’italiano è lingua ufficiale: alcune piccole, come lo Stato della Città del Vaticano e la Repubblica di San Marino, altre ben più consistenti, come la Confederazione svizzera, la Repubblica di Slovenia, la Repubblica di Croazia.
La Svizzera ha una lunga tradizione nel campo dell’uso e della regolamentazione dell’uso pubblico delle sue lingue ufficiali, compreso l’italiano. Anzi, il nostro Dipartimento della funzione pubblica avrebbe molto da imparare dalla Cancelleria federale svizzera e dai suoi Servizi linguistici centrali.
Di tradizione più recente è invece l’attività in lingua italiana (naturalmente nella regione istriana) delle Repubbliche di Slovenia e di Croazia. Di questa attività in Italia si sa poco; ed anche nelle sedi nelle quali si redigono testi in lingua italiana a Bruxelles e Lussemburgo la conoscenza delle attività che si svolgono nelle istituzioni pubbliche tra Capodistria, Rovigno e Pola (soprattutto nei Comuni) è molto limitata.
Per questo nei giorni scorsi, in concomitanza con l’ingresso della Croazia nell’Unione Europea, la Rei ha dedicato la sua tredicesima giornata di studi, che si è tenuta a Roma nelle sede della Rappresentanza della Commissione Europea, proprio a questo tema: “L’italiano oltre confine. Lingua istituzionale e di comunicazione in altri paesi europei”. Vi hanno partecipato studiosi e operatori di Svizzera, Slovenia e Croazia.
Della Slovenia si sono occupati Metka Malcic e Natale Vadori dell’Università del Litorale e Nada Zajc, traduttrice del Comune di Pirano; della Croazia Tea Batel, collaboratrice dell’Assessorato Comunità italiana e altri gruppi etnici della Regione istriana, Ivana Lalli Pacelat, dell’Università di Pola, Silvio Forza, direttore editoriale della Edit. Nel pubblico anche il noto giornalista, nativo di Spalato, Enzo Bettiza. L’iniziativa ha attirato l’attenzione dei rappresentanti ufficiali dei due Paesi: per la Slovenia era presente il Primo segretario dell’Ambasciata, Gregor Pelicon, per la Croazia, l’ambasciatore in persona, Damir Grubiša.
La giornata ha avuto uno sviluppo molto proficuo, sia per chi conosceva già le condizioni del bilinguismo in Istria, sia per chi aveva una conoscenza sfocata dello status linguistico delle istituzioni d’oltre confine. In particolare, sono emersi numerosi problemi pratici che si pongono nel consolidamento di un italiano per le istituzioni croate e slovene: spesso, mancano scelte unitarie (per esempio quello che a Pola, Rovigno e Umago è il “Consiglio municipale”, a Buie è il “Consiglio cittadino”) e, comunque, le soluzioni adottate nelle diverse realtà locali possono differire da quelle consolidate in Italia (dove l’organo corrispondente viene chiamato “Consiglio comunale”).
Vi è dunque la necessità di sviluppare un processo, anche dal basso, di standardizzazione e, dove possibile, di continuità con le formulazioni in uso nelle altre istituzioni dei paesi nei quali l’italiano è lingua istituzionale, a cominciare dall’Italia.
Ma attenzione: non è possibile trasporre automaticamente denominazioni e abitudini linguistiche da un Paese all’altro. Obiettivo di chi in Istria redige (o meglio traduce) testi istituzionali in italiano sarà dunque quello di portare l’italiano istituzionale a un elevato livello qualitativo, ma anche quello di preservare le specificità strutturali slovene e croate, cioè le specificità della realtà che anche i cittadini italofoni di quelle regioni vivono quotidianamente.
I traduttori sloveni e croati hanno dichiarato di sentirsi isolati nel loro quotidiano lavoro di trasposizione in italiano delle normative delle rispettive amministrazioni. Da oggi saranno meno soli: la cooperazione tra professionisti nel campo della redazione e della traduzione di testi istituzionali può includere, d’ora in poi, anche loro. A goderne i vantaggi saranno i cittadini italofoni dell’Istria, che vedranno attuato con la massima efficacia possibile quel principio democratico che è stato enunciato nel “Manifesto per un italiano istituzionale di qualità”, approvato dalla stessa Rei nel 2010: “Promuovere la trasparenza e la chiarezza dei testi e preoccuparsi della loro capacità comunicativa, significa dare a tutti i cittadini le basi per difendere i propri diritti e non eludere i propri doveri”.
Michele Cortellazzo
www.ilpiccolo.it 8 luglio 2013