La testata online Istra24 ha dedicato nella sua sezione in lingua italiana Ventiquattro (ma l’articolo è disponibile anche in croato) un reportage fotografico alle masserizie del Magazzino 18 nel Porto Vecchio di Trieste, sito della memoria dell’Esodo giuliano-dalmata che ha ispirato lo spettacolo teatrale di Simone Cristicchi.
La galleria fotografica realizzata da Manuel Angelini può essere vista qui:
http://www.istra24.hr/ventiquattro/galleria-fotografica-magazzino-18-oggetti-simbolo-di-un-dramma.-l-esodo-che-non-si-dimentica
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Due mila metri quadrati di sofferenza e angoscia, quelli del Magazzino 18, che raccontano il destino infelice e crudele del popolo istriano, fiumano e dalmata iniziato nel 1947. L’esodo di migliaia di persone costrette ad abbandonare le proprie case a causa di differenti ideologie politiche, per motivi etnici e morali. Quello che si trova all’interno del museo è la testimonianza di una delle pagine più tristi della storia istriana. È la testimonianza della tragedia di un popolo che, forse, non ha mai trovato pace
Un magazzino che diventa museo quello di Magazzino 18, che oggi si trova al secondo piano del Magazzino 26 in Porto Vecchio a Trieste. “Un ritorno a casa”, se vogliamo, giacchè le masserizie di quella che è e rimarrà una macchia di una pagina di storia non sufficientemente raccontata, ma mai dimenticata, inizialmente trovarono spazio proprio all’interno di quel numero di magazzino.
Due mila metri quadrati di sofferenza e angoscia, quelli del Magazzino 18, che raccontano il destino infelice e crudele del popolo istriano, fiumano e dalmata iniziato nel 1947.
L’esodo di migliaia di persone costrette ad abbandonare le proprie case a causa di differenti ideologie politiche, per motivi etnici e morali. Persone che portarono con sè oggetti della loro quotidianità con l’illusione di riprendere, un domani, la propria vita da dove l’avevano lasciata.
Quello che si trova all’interno del museo è la testimonianza di una delle pagine più tristi della storia istriana. È la testimonianza della tragedia di un popolo che, forse, non ha mai trovato pace.
Solo un numero
Intere famiglie che lasciano la propria terra natia, qualcuno con addosso solo due stracci, qualcuno che riesce a portarsi dietro un libro o un quaderno o due bicchieri o un comodino, una sedia…
Oggetti che sono ancora lì, in quel magazzino oggi museo. Oggetti che la maggior parte delle persone non sono mai venute a riprendersi. Oggetti che parlano e che raccontano dolorose storie di vita. Oggetti con un numero e il numero una persona.
Persone che trovano un misero spazio in un centro di raccolta profughi degli oltre 100 sparsi per tutta l’Italia. Persone che da quel centro raccolta profughi non usciranno mai, se non in una bara, perchè morti di freddo o di fame o perchè suicide. Persone che usciranno da quel centro raccolta profughi ma che rimarranno segnate per tutta la vita.
Non un nome, non un cognome. Una sedia, due, tre…e quella parete con gli specchi
Un muro, che sembra non finire più, pervaso di foto di persone delle quali non si saprà mai nulla. È la galleria dei volti senza nome, ma con un destino. Il destino di un esule. Figli, padri, madri, nonni, nipoti chissà di chi. Volti testimoni silenziosi di un doloroso passato.
Simbolo di tutta quella gente costretta ad andarsene dalla propria terra, le sedie accatastate le une sulle altre. Simbolo di chi non c’è più.
Sedie, non si sa quante, non le ha contate nessuno.
Alla fine del percorso del Magazzino 18 una parete di specchi diventati opachi con il passare del tempo, che riflettono i nomi stampati sulla parete opposta. Sono nomi di soltanto alcune delle vittime delle foibe. Come se leggerli una volta non fosse sufficiente.
Donatella Leonardelli
Fonte: Istra24 – 30/08/2022
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