Giovedì 27 gennaio alle ore 18:00, in diretta dalla pagina Facebook ANVGD di Milano, Per far conoscere e tramandare la storia della Venezia Giulia, si terrà, una nuova conferenza.
PIERO DELBELLO Direttore dell’IRCI Istituto regionale per la Cultura Istriano fiumano dalmata parlerà del “MAGAZZINO 18”
Magazzino 18: quello che resta degli esuli italiani
Questo luogo che custodisce le masserizie dei nostri connazionali costretti a scappare alla fine della seconda guerra mondiale da Istria, Fiume e Dalmazia per sfuggire alla pulizia etnica e per non rinnegare la propria italianità.
L’acqua che bagna il porto di Trieste scorre, così come il tempo che è passato da quando gli italiani di Capodistria, Fiume, Pola, Albona, Orsera, Parenzo, Rovigno, Zara, Spalato e Ragusa furono costretti a lasciare le loro case all’indomani del Trattato di Parigi con cui, il 10 febbraio 1947, quelle terre vennero definitivamente assegnate alla Jugoslavia del maresciallo Tito.
Eppure nel porto vecchio di Trieste c’è un magazzino dove il tempo sembra essersi fermato: le mura sono consumate dalla salsedine e dall’umidità ma, sulla facciata, si legge ancora il numero “18”.
Divenuto famoso grazie allo spettacolo di Simone Cristicchi che, con un’opera teatrale coraggiosa e solitaria, ha raccontato una pagina strappata della storia d’Italia, questo luogo rappresenta il sacrario della memoria degli esuli che arrivarono a Trieste per sfuggire alla pulizia etnica e per non rinnegare la propria italianità.
L’Istituto regionale per la cultura istriana-fiumana-dalmata (Irci), coi pochi mezzi di cui dispone, fa il possibile e anche l’impossibile per conservare ciò che contiene.“ Il grande problema è quello della manutenzione dei beni culturali, tra cui rientra il Magazzino 18, che, spiega Piero Delbello, direttore dell’Irci,- è un bene particolare, ideale, è il luogo del rinnovo della memoria, testimone della sofferenza provata dai nostri connazionali prima nel portare via questi beni, poi nel doverli lasciare perché non avevano più la possibilità di utilizzarli”.
Ed infatti, basta varcare la sua soglia, per redensi conto della particolarità di questo posto. Icone religiose, ritratti, oggetti di uso quotidiano, sedie e persino letti ed armadi: tutto trasmette un profondo senso di abbandono e di speranze andate in frantumi, perché i profughi istriani hanno portato con sé quelle suppellettili con l’illusione di riprendere la propria vita da dove l’avevano lasciata.
Ma l’accoglienza ricevuta in Patria, come dimostrano gli episodi che in questi anni sono via via venuti a galla, è stata ben diversa dalle loro aspettative. Emblematico, in questo senso, è il caso della stazione ferroviaria di Bologna dove un convoglio con a bordo centinaia di profughi italiani, ribattezzato per questo “il treno della vergogna”, venne preso a sassate da una folla inferocita.
Così molti esuli, dopo aver trasportato le loro masserizie al di là dell’Adriatico, sono stati costretti a distaccarsene per sempre perché nei campi profughi in cui erano stipati non c’era spazio, oppure perché alcuni preferirono emigrare all’estero, negli States, in Canada, in Argentina oppure in Australia, per conquistarsi quel futuro che l’Italia gli aveva negato.
“Il dramma dei profughi è proprio questo qui, da un lato hanno abbandonato il loro ambiente naturale, dall’altro hanno cercato di costruirne un altro che però non sarà mai uguale allo precedente”, spiega il direttore dell’Irci, nato in quella che oggi gli sloveni chiamano “Izla” ma che, per lui, rimarrà sempre Isola, Isola d’Istria.
E, proprio guardando la piramide di sedie, Delbello ricorda, “questo insieme di masserizie vecchie e massacrate sono un caso unico nel mondo”. In questa unicità risiede il loro valore universale. “Quando anni fa vennero qui i rappresentanti degli esuli dei Sudeti, un’altra storia per certi versi parallela, un’altra storia terribile, guardando le masserizie dissero: «queste cose siamo noi, con queste cose voi raccontate la vostra storia ma, allo stesso tempo, raccontate anche la nostra storia», ed anche quella di tanti altri esodi, ecco perché, conclude il direttore, questi oggetti hanno un carico simbolico che va oltre e, se noi ragioniamo in questi termini, capiamo quanto sono importanti le masserizie”.
Di fronte a questo patrimonio immobile di testimonianze, l’eco delle polemiche che accompagnano ogni anno la giornata del 10 febbraio, tra tesi negazioniste e istituzioni smemorate, diventa assordante.
La videoconferenza sarà successivamente visibile sul canale YouTube ANVGD Comitato di Milano.