1945, in Italia la guerra è appena terminata, restano le macerie e la resa dei conti tra partigiani e i pochi fascisti rimasti in azione, in prevalenza nella zona dell’Emilia Romagna. Molti i casi di giustizia sommaria, perché il Paese è ancora nel caos. Ma è ai confini dell’Italia orientale che si sta consumando un dramma di cui si sa poco, o molto probabilmente si sa, però si fa finta di non sapere. Già dal 1943 i partigiani di Tito iniziano la pulizia etnica, centinaia di italiani vengono uccisi e gettati nelle foibe (inghiottitoi naturali delle aree carsiche). Alla fine gli infoibati saranno migliaia e migliaia, ma il numero preciso non si saprà mai. Circa trecentocinquantamila, invece, le persone che esilieranno per rimanere italiani. Molte famiglie arriveranno anche a Latina, tra queste la famiglia Scrobogna.
Latina è accogliente per natura, l’ho ripetuto già diverse volte tra queste colonne, e lo dimostrò anche con gli esuli istriani, fiumani e dalmati. Quando arrivarono nel campo profughi, ex caserma 82, vennero accolti calorosamente, mentre nel resto d’Italia, soprattutto al nord, vennero guardati con sospetto e apostrofati anche peggio, perché considerati tutti fascisti. Chi scelse o capitò a Latina ebbe la sorte meno amara, trovandosi in un luogo dove poter continuare a parlare il dialetto veneto.
Arrivarono a Latina il 25 ottobre del 1948, erano un migliaio di persone, circa trecento famiglie, avevano abbandonato casa e averi pur di rimanere italiani e non sottostare al regime jugoslavo di Tito. Qui si rimboccarono le maniche e iniziarono una nuova vita, anche se cuore e mente erano rimasti lì, in quelle magnifiche terre. Nel 1955 a Latina, fu costruito il Villaggio Trieste, un quartiere che ospitò molte di quelle famiglie.
Solo nel 2004 fu riconosciuto ufficialmente, dallo Stato italiano, il massacro delle foibe. Da allora è stata istituita la giornata del ricordo che si celebra ogni 10 febbraio.
Ho pensato di raccontare di una di quelle famiglie e mi è venuta in mente una cara amica che vive ormai da molti anni a Roma. Ci vediamo di rado, ma l’amicizia è rimasta intatta nel tempo. Lei è Daniela Scrobogna e i suoi genitori erano esuli istriani arrivati a Latina nel 1948. Con Daniela è nata una bella amicizia nella metà degli anni ottanta, quando decisi di imparare a degustare il vino. Mi iscrissi al primo corso di sommelier, all’Hotel Europa, dove lei era l’organizzatrice.
Tra i banchi trovai anche il mio compianto amico Nando Cappelletti. Con loro, in quel periodo, passai momenti spensierati e indimenticabili. Eravamo sempre in giro per degustazioni nei vari ristoranti, tra Roma e Latina. Daniela è laureata in architettura, ma oggi è soprattutto una docente della Fondazione Italiana Sommelier, e la sua competenza è riconosciuta anche in campo internazionale. Spesso invitata in diverse trasmissioni televisive della Rai, come La prova del cuoco con Antonella Clerici e Unomattina. Latina, dove è nata e ha passato la sua vita fino alla giovinezza, le è rimasta nel cuore e qui ha ancora l’affetto delle sue nipoti.
Daniela Scrobogna ricorda i suoi genitori, Mario Scrobogna e Maria Angelica Bucconi
Quando a Daniela ho mandato il messaggio, ha risposto che gli avrebbe fatto molto piacere parlare della sua famiglia, così ci siamo incontrati telefonicamente. Suo papà e sua mamma hanno avuto per oltre cinquant’anni una bottega orafa sotto i portici di Piazza della Libertà, tra la lavanderia Tatiana e Tulli Viaggi:
Daniela, di dove erano i tuoi genitori?
“Mia mamma era nata a Valle D’Istria in provincia di Pola e mio papà a Fiume. Mamma proveniva da una famiglia abbastanza agiata, perché mio nonno era una formichina, appena aveva disponibilità acquistava terreni. Mio padre invece aveva imparato il mestiere di orefice e aveva una bottega, ed era molto apprezzato”
Ti raccontavano della vita di quando hanno vissuto in Istria?
“Mia mamma non amava parlare del suo passato, credo avesse sofferto molto il distacco dalla sua terra. Tra l’altro lì, aveva perso anche una bimba di due anni, si chiamava Edda, e sarebbe stata la mia sorella maggiore. Mio papà invece era una persona completamente diversa, lui era più aperto, un amabile conversatore e ne parlava tranquillamente”
Raccontami di quando andarono via dall’Istria
“Entrambi non avrebbero voluto andare via, la loro vita era lì, come lo era stata per i loro genitori, per i loro nonni e bisnonni. Però le cose si stavano mettendo male, anche un parente stretto di mia mamma venne gettato in una foiba. Loro si sentivano italiani, mia mamma conosceva solo la lingua italiana, e poi era appena nata anche una bimba, Silvia, mia sorella che ora non c’è più. Così decisero di lasciare tutto e andar via. Salvarono solo alcuni mobili che mandarono in un grande magazzino a Trieste, a cui facevano riferimento un po’ tutti quelli che partivano. Alcuni mobili di quelli arrivarono a Latina molti anni dopo”
Credo sia stato un viaggio terribile
“Sì, terribile. L’unica cosa che mia mamma mi raccontava era proprio il viaggio. La cosa che più le era rimasta impressa, successe alla stazione di Bologna, dove avrebbero dovuto ricevere dei pasti per rifocillarsi, ma non gli diedero nulla, neanche il latte per la sua bambina, che aveva solo due anni. Lo vide sversare sui binari da alcune persone. Insomma, mandati via dagli slavi e rifiutati dagli italiani, non credo sia stato semplice affrontare psicologicamente quel distacco”
E a Latina? E perché Latina?
“Non so perché a Latina, forse li avevano smistati sin dall’inizio. So che molti andarono pure all’estero, in Canada, in Argentina e poi in tutta Italia. Comunque a Latina, fortunatamente, l’accoglienza fu diversa, anche se vivere in un campo profughi dove le camere erano separate solo da tende, per una famiglia che aveva sempre vissuto nella pur modesta agiatezza, non fu facile. Poi c’era anche da guadagnarsi da vivere, perché avevano dovuto lasciare tutto a Valle D’Istria, salvarono solo qualcosa che riuscirono ad infilare negli abiti che indossavano alla partenza. Comunque mia mamma si legò subito alla sua nuova città e questo forse attenuò un po’ del suo dolore”
Tuo papà anche a Latina continuò l’attività di orefice, come fece all’inizio?
“Fu mia mamma, donna pragmatica, a trovare un posticino a mio padre dove poter continuare il suo lavoro. La famiglia Marcucci, che aveva un negozio di abbigliamento di fronte al cinema Giacomini, gli concesse un piccolo spazio dove mio papà ricavò un laboratorio per lavorare l’oro. Poi sempre mia mamma, dopo qualche tempo riuscì a trovare un negozio in affitto in Piazza della Libertà, sotto i portici, dove aprirono l’oreficeria ”
Insomma era tua mamma che comandava le fila?!
“Sì, mia mamma era molto severa, era lei che decideva per tutti, mio padre invece era un uomo dolcissimo, aveva l’animo dell’artista e amava molto il suo lavoro”
Tu che non hai vissuto direttamente la storia dell’esodo perché sei nata a Latina, come l’hai avvertita?
“Ti devo dire che ho sofferto molto a scuola, frequentavo il liceo scientifico e molti miei compagni non credevano ai miei racconti che i miei genitori a loro volta mi raccontavano. Molti addirittura negavano, dandomi della bugiarda e di conseguenza anche ai miei genitori. È un brutto ricordo che mi ha accompagnato per molto tempo”
Sei mai andata in Istria e hai ancora parenti da quelle parti?
“Sì, sono andata diverse volte. Inizialmente ricordo che in molte attività si parlava ancora italiano, ma poi nei successivi viaggi mi resi conto che la nostra lingua stava scomparendo. Di parenti non ho più nessuno. Avevo uno zio che rimase lì, convinto che le cose sarebbero andate bene con Tito, ci furono anche molte discussioni tra lui e mia madre, che non riuscì a convincerlo ad andare via. Dopo diversi anni venne a vivere con noi a Latina, anche se per orgoglio non confessò mai la sua delusione nei riguardi del regime titino”
Il papà di Daniela non l’ho mai conosciuto, morì quarant’anni fa. La mamma invece, la signora Maria Angelica, la ricordo benissimo, una splendida persona di altri tempi. Lei è venuta a mancare nel 2011 e per me è stato un piacere ricordarla. Ringrazio Daniela che, tra i suoi tanti impegni enologici, mi ha donato un po’ del suo tempo e la sua storia.
Emilio Andreoli
Fonte: Fatto a Latina – 13/02/2022
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