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Matvejevic: esodo duro, giusto Giorno del Ricordo (albinoline.it 29 giu)

“Torno nel vespaio”, dice, “ma non ho paura”. Il vespaio è la ex Jugoslavia, patria di Predrag Matvejević, nato a Mostar nel 1932 da padre russo di Odessa e da madre croata.

Da qualche tempo è tornato a vivere a Zagabria e non teme per la sua incolumità perché è convinto che la situazione sia cambiata e che i “talebani cristiani” non possano più permettersi di zittire con la minaccia del carcere chi come lui esercita ancora il diritto di critica. Se n'era andato nel 1991 dopo gli spari contro la cassetta della posta: una minaccia dal significato inequivocabile. “Non si può lottare con la penna contro le pallottole” ha ammesso durante la colazione con l'autore tenutasi a Verbania in occasione del festival LetterAltura, al termine della quale ci sediamo in un bar del lungolago. La giornata è splendida ma il sole comincia a farsi implacabile.
Come se fosse un professore qualsiasi a inizio carriera e non uno dei più stimati intellettuali europei, Matvejević apre la borsa porta documenti per estrarne il curriculum che mi porge: in un unico foglio è riuscito a condensare pubblicazioni e riconoscimenti. Per una frazione di secondo mi calo nella parte dell'esaminatore, ma mi riprendo immediatamente perché di fronte a me ho il Signor Mediterraneo in persona. La nostra chiacchierata non può che avere per tema il mare a cui ha dedicato tanti anni di appassionate ricerche, confluite nel celeberrimo Breviario. Sorride ricordando quanto gli ha detto una volta un prete: “nelle case italiane prima c'era il breviario della chiesa, ora gli Italiani hanno duecentomila copie del suo breviario mediterraneo”. Alla richiesta della cameriera il professore ordina un caffè che muta subito in una birra chiara piccola, mentre io opto per una spremuta d'arancia. 

La sua critica ha colpito i Croati, ma non ha risparmiato tutti gli altri protagonisti del vespaio balcanico. Anche l'Italia ha avuto la sua parte. Avendo difeso a suo tempo la minoranza italiana di Pola e Fiume, Matvejević si riconosce il diritto di criticare il paese che l'ha accolto, gli ha dato un lavoro (l'insegnamento alla Sapienza), concesso la cittadinanza e che ora gli versa la pensione. Ha seguito con attenzione la polemica degli anni passati sulle foibe. Non ha difficoltà a dire che l'esodo della popolazione italiana d'Istria è stato molto duro e che il giorno della memoria istituito a ricordo di questa tragedia è un giusto, anche se parziale, risarcimento per le sofferenze. Ma non bisogna dimenticare, aggiunge, che Mussolini durante la seconda guerra mondiale occupò tutta la Dalmazia, provocando la strage di un'intera generazione di giovani. Anche questa tragedia dovrebbe essere quindi commemorata con un giorno della memoria. Gli chiedo: com'è possibile uscire da questo gorgo di recriminazioni? Forse rispolverando i sani principi laici dei diritti dell'uomo, di tutti gli uomini? L'illuminismo non è ancora invecchiato, può essere ancora utile, risponde senza esitazione. Il compito dell'opinione pubblica di ciascun paese e dei singoli cittadini è quello di evitare che la democrazia scivoli pian piano verso una nuova forma di potere che lui chiama “democratura”, ovvero un ibrido tra democrazia e dittatura. I paesi liberi devono impegnarsi in una lotta comune contro questo pericolo.

Gli domando quale sia il suo debito verso Braudel. Immenso, risponde, ma non ha voluto “rifare” l'opera dello storico francese. Con la sua ricerca sul Mediterraneo (“un poema saggistico o un saggio poetico”) ha inteso invece perlustrare gli angoli meno noti del Mediterraneo. Dando spazio per esempio all'asino, “trascurato” da Braudel e al quale Matvejević si è sentito in dovere di rendere omaggio. Nel video qui sotto ho ripreso la lettura delle pagine del Breviario dedicate a questo infaticabile quadrupede, tutt'altro che stupido.

Oppure alle pianticelle, soprattutto quelle più “umili” a cui solitamente prestiamo poca o nulla attenzione e che non sapremmo neppure come chiamare se ci soffermassimo a osservarle. Ha dedicato la stessa attenzione alla patina e alla ruggine di Venezia, sulle quali nessuno prima aveva scritto. Un gondoliere un po' pazzo, racconta, un giorno lo portò a visitare l'isolotto su cui vanno a morire i gabbiani e anche su questa tessera che compone lo splendido mosaico veneziano nessuno aveva mai speso parole. C'è ancora molto da scrivere sul Mediterraneo, ma lui non intende aggiornare a oltranza Breviario perché non vuole trasformarlo in un'enciclopedia. Negli ultimi tempi si è occupato del pane e della sua storia. Mi detta (letteralmente) le prime parole del libro che ha appena terminato di scrivere, in uscita alla fine di novembre per i tipi di Garzanti: “il primo pane è nato sotto la cenere, sulla pietra. È più anziano della scrittura…”. E poi cita un altro passo, facendo attenzione che prenda diligentemente nota (dev'essere il riflesso della lunga carriera di professore): “colui che ha visto la prima spiga e i chicchi che essa porta con sé ha avuto la prima idea dell'ordine, della misura e forse dell'eguaglianza. Colui che ha osservato i vari cereali ha avuto lui per primo l'idea della differenza, della diversità e forse della gerarchia”. Mi regala una copia del capitolo intitolato Il pane dei marinai, concedendomi l'onore di pubblicarlo su ALIBI Online.

Racconta poi che suo padre trascorse quattro anni di prigionia in un campo di concentramento nel nord della Germania a tagliare legna nei boschi per la costruzione della ferrovia. Quando partì pesava 92 chili, al ritorno si era ridotto a 52 chili. Predrag non lo riconobbe e pianse quando capì che era suo padre. Uno zio e un nonno morirono nel campo di concentramento e la famiglia seppe che le ultime disperate parole dei congiunti erano state “pane, pane!”.

Quando la cameriera torna per riscuotere il conto, il Signor Mediterraneo le chiede un sorriso che subito ricambia.

Saul Stucchi

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