di FURIO BALDASSI
«Fini, chiedi scusa agli sloveni e ai croati». Il grido echeggia a sorpresa, alla fine della cerimonia, quando tutte le rose rosse sono state lanciate, le preghiere esaurite, e il gruppo di esuli e simpatizzanti è sulla via del ritorno al bus dalla foiba di Golobivnica. Un invito rivolto forse a Roberto Menia, ma il sottosegretario, torvo e tutto di nero vestito, non abbozza, così come l’intera delegazione dell’Unione degli istriani. Poteva essere un incidente diplomatico, vista la presenza, oltre a un esponente del governo, del console italiano a Capodistria, Gambacurta, e del suo vice, ma la cosa rientra subito nell’ambito delle contestazioni spicciole. Poche, ieri, davanti al terreno a pochi passi dal centro di Corgnale dove i triestini fanno la spesa, luogo dove l’Unione istriani ha operato il suo ricordo degli infoibati «italiani e stranieri».
A frenare i contestatori o, meglio, ad attivare la ”policija” slovena, ha di sicuro contribuito la presenza di un esponente governativo italiano. Di qui la presenza, discreta ma evidente, di pattuglie di controllo all’ingresso della stradina che porta all’orrido carsico, che hanno tra l’altro impedito che l’eterno striscione di Samo Pahor (”Bilinguismo a Trieste come in Istria”) bloccasse, come voluto, il passaggio del bus dell’associazione degli esuli. E sempre da quella considerazione è maturata una presenza non eccessiva (otto-nove uomini in divisa o in borghese) nei pressi della grotta.
Non hanno dovuto sudare poi molto. L’intera cerimonia, bloccata il 28 febbraio scorso con toni accesi da un manipolo di nostalgici titini, è filata via liscia, senza striscioni, senza fasce, solo con un crocifisso portato dal gruppetto. Due parole del presidente Massimiliano Lacota («Non è strano che si faccia questa manifestazione dopo tanti anni, è incredibile però che arrivino 30 giornalisti e 20 fotografi e cineoperatori per una cerimonia privata»), alcuni cenni di storia delle foibe, dal ’43 in poi, e sono partite le preghiere, coordinate dal consigliere comunale Porro. Il tempo di lanciare le rose dentro la ”privat parcela”, compresa quella del Comune portata dal consigliere di An Pellarini, con la grotta recintata e inaccessibile («ma fino a febbraio non era così», si lamenta Lacota), e la cosa è finita lì.
O, meglio, è finita la prima parte della mattinata. Perchè i contestatori, fino a quel momento silenti o confusi tra i poliziotti in borghese, hanno cominciato a farsi sentire, stimolati anche dalla presenza di numerosi media. La differenza, almeno quella avvertita ieri, è chiaramente ideologica, legata a due letture della storia marcatamente diverse. «La commissione mista italo-slovena – racconta ad esempio Luca Cibej, sloveno di Lucia di Portorose – ci ha messo sette anni per ricostruire certi fatti. Perchè non vengono resi noti? Diversamente non ne usciremo mai». Primoz Sancin, invece, di Dolina, ribatte sulla tesi che nella stessa Foiba di Basovizza ci sarebbero solo pochi resti di soldati italiani morti di febbre gialla nella prima guerra mondiale. «Per questo non vogliono aprirla», chiosa sicuro. Il cordone sanitario tra i pochi manifestanti e il bus funziona, e nessuno replica. C’è un attimo di tensione solo quando viene identificato un giovane scarsocrinito e ampiamente tatuato che, assicura un poliziotto in abiti civili «sembrava decisamente fuori dal contesto». Lacota riesce a replicare solo a un aggressivo reporter sloveno che contesta le malefatte del fascismo in zona. «Non c’entro niente col fascismo – precisa – le cui malefatte sono state ampiamente saldate dal governo italiano all’ex Jugoslavia».
È tempo di partire, e alla cinquantina abbondante di partecipanti («Potevamo essere 300 – racconta Lacota – ma visti i precedenti abbiamo limitato il numero») viene riservata anche la visione fugace della contromanifestazione nel centro del paese, con qualche esponente di Rifondazione comunista a mescolarsi con i locali e il solito tricolore con stella rossa che fa salire il sangue alla testa di esuli e non. Scampoli di guerra fredda in una giornata che più calda non si può. Ignare di tutto, le auto triestine sciamano. Dov’è quel nuovo market?