di MAURO MANZIN
TRIESTE Sul rigassificatore di Zaule l’Italia non cambia linea e il ministero dell’Ambiente presenterà tutta la documentazione fin qui esistente alla controparte slovena nella prossima conferenza interministeriale. Nessun segreto, dunque, nessuna volontà di inasprire gli animi, anzi, è con uno spirito costruttivo che il sottosegretario all’Ambiente, Roberto Menia affronta la questione.
Quale sarà la posizione del ministero dell’Ambiente sul rigassificatore di Zaule alla prossima conferenza interministeriale tra Italia e Slovenia?
«Manterremo la posizione fin qui attuata e già espressa. Vorrei ricordare che abbiamo inviato una missione a Lubiana con i tecnici del ministero assieme al consigliere diplomatico del ministro che aveva portato il dossier quando era stata conclusa la procedura della commissione sulla valutazione di impatto ambientale (Via) con la quale ritenevamo di aver adempiuto a tutto il patto di consultazione e a quello che era previsto. Manterremo la posizione già espressa».
Ma ora la Slovenia chiede anche la documentazione relativa al gasdotto sottomarino che da Zaule si collegherà a Grado alla rete nazionale…
«Su questa questione, come è noto, la Commissione Via non ha ancora espresso il suo parere. E questo è un problema differente. Uno è l’impianto di rigassificazione, l’altro è l’allacciamento con la rete nazionale che è la famosa questione del gasdotto. Anche se mi sembra palese che la realizzazione di quest’ultimo si allontana dalla cosiddetta zona critica, quindi, a logica, dovrebbe sollevare ancora minori questioni. Però sul gasdotto c’è una valutazione differente della Commissione Via che stiamo ancora attendendo. L’Italia, comunque, risponde a criteri tecnici e alla legislazione sull’impatto ambientale. È un fatto che è separato dalle volontà politiche. E poi spetta alla Regione Friuli Venezia Giulia l’ultima parola».
Spostiamoci sul tema del nucleare. È già stata elaborata la lista dove saranno ubicate le centrali atomiche che l’Italia ha intenzione di costruire?
«Il ministro per lo Sviluppo economico, Claudio Scajola ha in alcune occasioni dichiarato che vorrebbe comunque prima della fine dell’anno illustrare la possibile localizzazione dei luoghi individuati dalla commissione preposta. È evidente che si tratterà di una serie di proposte, dopo di che ci sarà ancora una lunga strada da percorrere».
Anche perché continua a spuntare il nome di Monfalcone come uno di questi probabili siti nucleari…
«Se è per questo si fanno mille nomi. Personalmente penso che sulle questioni energetiche nazionali mi pare di poter dire che è abbastanza logico che l’Italia rientri in un programma nucleare. La nostra bolletta la paghiamo il trenta, quaranta per cento in più rispetto ai cittadini di altri Paesi della Comunità europea. E questo perché? Perché noi andiamo ad acquistare energia in Paesi che la producono con il nucleare e che ci sono peraltro contermini. Come è noto noi uscimmo dal programma atomico, nonostante avessimo capacità tecniche e conoscenze, mentre per me, anche da un punto di vista logico sarebbe stato giusto procedere sulla strada del nucleare, comunque dopo Chernobyl ci fu quel famoso referendum quando si votò soprattutto sull’onda emozionale e l’Italia uscì dal nucleare. Oggi per me, anche perché sono peraltro cambiate le condizioni di sicurezza, è logico che in Italia si ritorni al nucleare. E questo per una questione di scelta energetica che è funzionale allo sviluppo del Paese. Dopo di che, qua
ndo si imbocca questa strada, non bisogna cominciare a soffrire della”sindrome nimby”, ossia ”not in my backyard”, ossia non nel mio giardino. Se per ipotesi il rigassificatore si fa vicino a casa mia non è che io possa dire: ”Sì, si deve fare, ma fatelo da un’altra parte”. Quindi credo che anche sotto questo profilo ci devono essere caratteristiche tecniche che devono essere lasciate alla valutazione di chi tecnicamente e scientificamente è più indicato a farle, in termini di sicurezza, di compatibilità e poi su quella base si sceglie».
Ma Monfalcone è tra i siti papabili sì o no?
«È una delle tante cose che si dicono. Io l’ho letta solo su organi di stampa. Non l’ho sentita né nell’ambiente del mio ministero, né in quello dello Sviluppo economico. È una delle cose che si dicono. Poi ripeto, se domani capita una cosa simile vicino a me che cosa dico? Dico no, non la voglio. Sarebbe piuttosto incoerente».
Lei prima ha accennato a Paesi contermini che producono energia dal nucleare. Uno di questi è certamente la Slovenia. Venerdì scorso a Roma a precisa domanda il primo ministro sloveno, Borut Pahor non si è detto a priori contrario a contatti con l’Eni per la gestione dell’impianto di Krsko. «Ascolteremo quanto hanno eventualmente da dirci e da proporci – ha affermato – poi valuteremo il tutto e prenderemo le nostre decisioni». Lei come vede la questione?
«L’Eni, come è logico, ha una strategia nazionale e di penetrazione anche su altri mercati su rete europea. Quindi io, ovviamente, non ho niente in contrario. Auspico anzi che il sistema Italia possa anche nei Paesi a noi vicini, in questo caso magari in Slovenia, partecipare e collaborare e quindi portare, fra l’altro, tecnologia, capacità e anche ricchezza a casa nostra».
Tutto questo però va inserito in un preciso quadro…
«Certo il tutto va inserito in un quadro di rapporti normali tra Italia e Slovenia. Sarebbe abbastanza paradossale dire che noi colloboriamo a Krsko ma loro ci impediscono di fare il rigassificatore. In questo modo il dialogo non funziona».