LA PERLA DELL'ADRIATICO
Tradotto in italiano il fondamentale saggio dell’inglese Robin Harris
Nelle secolari vicende di Dubrovnik i simboli di autonomia e libertà
Per molti Ragusa-Dubrovnik è solo una deliziosa meta di vacanze estive nel cuore della Dalmazia. Sappiamo della bellezza mozzafiato della costa croata, sappiamo che ci vogliono abiti leggeri per visitarla nelle estati calde e gambe agili per arrampicarsi nei suoi dedali fino alla vita pulsante del centro. Ma già al primo sguardo, questa città millenaria dalla storia complessa lascia indovinare un plusvalore che si aggiunge all’aria salmastra: un’aria di libertà – quasi una vertigine – davanti alle mura spettacolari che l’abbracciano. Metri e metri di fortezze, torri, bastioni e feritoie, uno dei sistemi difensivi più belli e meglio conservati del Mediterraneo, custodi della lunga libertà politico territoriale della piccola Repubblica di San Biagio, stretta tra i giganti dell’epoca, da Costantinopoli a Venezia e all’Ungheria, alla Sublime Porta ottomana, agli Asburgo e fino a Napoleone.
La prodigiosa storia di questo lembo di terra si protrae dal VII secolo, quando un gruppo di fuggiaschi dall’insediamento romano di Epidaurum costituì l’abitato di Ragusavecchia, e arriva alla conquista dell’autonomia, miracolo scaturito dalle capacità commerciali e diplomatiche dei ragusei. Per conoscere le origini e poi i costumi, i commerci, le tradizioni, l’architettura, la letteratura e la spiritualità nel periodo di splendore di questa minuscola repubblica adriatica fino alla sua caduta nel XIX secolo – più o meno simultaneamente a Venezia – per mano del generale francese Marmont, il libro dello storico inglese Robin Harris, Vita e storia di Ragusa (Santi Quaranta, pp. 424, 15 euro) è un documento denso di notizie.
ettagliatissimo, corredato di cartine, cronologie, note e appendici di approfondimento, è nello stesso tempo un racconto suggestivo, quasi un film d’avventura. Con le parole di Harris infatti, che, come leggiamo nel risvolto di copertina, scrive «in una lingua originale, talvolta divagante al modo della narrazioni di veglia», basta poco per essere trasportati ai tempi dei Narentani, lo spietato popolo pagano di origine slava che dalla zona di Cracovia arriva in Dalmazia e degli Uscocchi, i celebri pirati croati con base nel Quarnaro.
Riusciamo quasi a immaginare baie, golfi, estuari di fiumi, foci di torrenti della costa della Dalmazia, martoriata a tratti dalle furiose sferzate della bora che finiva in tempeste. Una costa fitta di luoghi di estrema pericolosità quando vigeva la navigazione a vista, il piccolo cabotaggio delle galee che non potevano prendere il largo, trovando un’inevitabile serie di trappole e di agguati, mai finiti a partire dai tempi mitici di Ulisse e dei greci antichi, fino appunto ai pirati barbareschi che si annidavano lungo il corso della Neretva. Mentre nell’alto mare Adriatico si scontravano le marinerie più formidabili, da quella imperiale austriaca a quella del Sultano, a quella della Serenissima, immaginiamo i problemi dei galeoni, veneziani e turchi, così invincibili nel vasto mare aperto ma che potevano rischiare assalti dalle veloci barche di rapina dei naufraghi di professione, se solo incappavano in una bonaccia o in un fondale troppo basso nel dedalo delle isolette che fanno da collana a quella costa crivellata. E ci vengono in mente, però, anche i tanti trionfi degli ammiragli veneziani, capaci di attrarre in anfratti impensati la marineria turca, che, conquistata infine Costantinopoli, si era inoltrata solo da poco nel governo delle grandi navi. Al centro di questi assalti spietati delle più spietate canaglie, che si sovrapponevano ai traffici opulenti che portavano le spezie dell’Oriente in Italia e a Trieste, è stata per secoli, come perla dell’Adriatico, proprio Dubrovnik-Ragusa, rocca imprendibile per secoli e scrigno insostituibile di tesori non solo architettonici, ma anche, più specificamente, di architettura militare e portuale. Ed ecco, in questo libro, il racconto dei mercanti avventurosi, il commercio del sale e dei prodotti dell’artigianato, con gli orafi ragusei abilissimi a trasformare in opere d’arte l’oro dei Balcani. Non è una questione di poco conto – ed è quello che Harris vuole fare – analizzare i motivi grazie ai quali la minuscola Dubrovnik, crocevia tra Mediterraneo e Balcani, tra il leone di Venezia e la mezzaluna turca, ha avuto e mantenuto così a lungo la sua autonomia e per più di sei secoli ha rappresentato «una superba realizzazione culturale di inestimabile valore, da cui avrebbero tratto beneficio la Croazia, il più ampio mondo slavo e anche l’intera Europa».
La storia di Dubrovnik è di enorme interesse, anche come emblema del diffuso, all’epoca, anelito di libertà dai grandi imperi, che proprio attraverso queste storie parallele si rivelano di cartapesta.
Chiara Mattioni