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05dic11 – Micich (Soc. Studi Fiumani): il ruolo delle seconde generazioni

Qual è stato il suo primo approccio alla Società di Studi Fiumani? Ge­neralmente, la “seconda generazione”, i figli degli esuli, non dimostra particolare interesse per le terre dei loro padri, sal­vo rare eccezioni. È vero questo? Perché ciò avviene?

 

«In effetti i figli degli esuli, pur dimo­strando sempre un certo interesse per le proprie origini, ben difficilmente riescono a gestire l’impegno lavorativo e famigliare con quello associativo. Penso, però, che si tratti di un problema generale che riguarda, in varia misura, un po’ tutti i settori asso­ciativi. Nel nostro caso la dispersione degli esuli in tutte le province d’Italia e in mol­te parti del mondo nel secondo dopoguerra non favorisce di certo lo sviluppo del fat­tore identitario e di appartenenza necessa­rio per coltivare progetti culturali e sociali nel segno dell’istrianità o della fiumanità. Tuttavia, devo riscontrare che in questi ul­timi anni un rinnovato interesse per la sto­ria delle proprie origini da parte delle nuo­ve generazioni c’è stato. Occorre, però, stimolare il senso di appartenenza nei giovani, non solo con la rievocazione della storia ma anche coinvolgendoli nelle vicissitudini del presente».

 

Che cosa ha spinto invece lei a inda­gare il passato e la cultura di queste re­gioni? Ha origini zaratine, se non sbaglio: come vive il rapporto con le sue ra­dici e la città oggi croata?

«Sin dalla nascita i miei genitori, hanno trasmesso a noi figli, l’amore per la nostra terra dalmata. Una terra ricca di tradizioni storiche, plurilingue e multiculturale. Pur­troppo, dopo la Seconda guerra mondiale, il mutamento di regime si è rilevato molto pesante. Solo dopo il 1954, dopo mille dif­ficoltà mio padre riuscì ad ottenere l’opzio­ne per venire in Italia con mia madre. Pas­sarono sei lunghi anni nei campi profughi prima di avere una casa, ma non li ho mai sentiti dire di aver fatto la scelta sbagliata.

A mio nonno paterno invece l’opzione fu negata più volte e così rimase a Zara. Da parte materna metà famiglia (di etnia albanese cattolica) ha optato per l’Italia, l’altra metà è rimasta a Zara (Borgo Erizzo-Arbanasi). Da questi brevi riferimenti famiglia­ri si può capire come il rapporto con la mia terra di origine sia sempre stato molto in­tenso e continuativo.

Inoltre dal 1960 (anno in cui sono nato) in poi il regime jugosla­vo permise a molti di tornare in visita nelle proprie terre e quindi sin da piccolo, con i miei, si tornava a Zara per far visita ai non­ni e a passare giornate indimenticabili nel nostro bel mare o in campagna. Col passare del tempo ho appreso sempre meglio il cro­ato, studiandolo perfino all’Università degli Studi di Roma e laureandomi con una tesi sullo scrittore Ranko Marinkovic, cosicché mi sono sentito sempre a mio agio a Zara come anche nel resto della Croazia».

 

Oggi lei è il Segretario Generale della Società di Studi Fiumani. Quando ha ini­ziato com’era operare nell’ambito della Società?

 

«Ho iniziato nel 1994, anno in cui non esistevano fondi a sostegno della cultu­ra degli esuli giuliano-dalmati, ma già dal 1989 i dirigenti della Società, in particolare Amleto Ballarini e Vasco Lucci, ebbero la grande idea di attivare un dialogo ufficiale con la città di Fiume e questo fatto mi at­trasse molto. Operare poi con persone come Amleto Ballarini, Giovanni Stelli (direttore editoriale), Danilo Massagrande e altri esu­li fiumani, che ormai per motivi anagrafici ci hanno lasciato, è sempre stato un piace­re, da loro ho appreso molto in questi anni».

 

Come viene percepita la Società nella cit­tà di Roma e in Italia?

 

«Devo dire molto positivamente, ormai sono sempre più gli istituti storici e le scuole di ogni ordine e grado che chiedono la nostra collaborazione. Nonostante gli ulti­mi pesanti tagli governativi alla cultura, riu­sciamo a mantenere aperta la nostra struttura per 20 ore settimanali al pubblico, a sod­disfare esigenze editoriali (vedi la rivista ‘Fiume’) e di catalogazione libraria e archi­vistica, che ci permettono di fornire precise consulenze ai ricercatori.

Da quattro anni la Società di Studi Fiumani (assieme all’As­sociazione per la Cultura Fiumana Istriana e Dalmata nel Lazio) è il partner ufficiale del Comune di Roma per progetti scolastici riguardanti il nostro confine orientale e col­labora alle iniziative del nostro Ministero dell’istruzione. Inoltre promuoviamo con­ferenze specialmente in Umbria, in Campa­nia ma anche in altre zone d’Italia».

 

Lei presiede l’Associazione per la cultura istriana, fiumana e dalmata nel Lazio, che sta svolgendo un lavoro mol­to approfondito e capillare con le scuo­le della regione. Qual è la risposta finora ottenuta?

 

«Tramite tale associazione riesco a pro­muovere ulteriori studi e conferenze sul ter­ritorio del Lazio (una regione che conta ol­tre 5 milioni di abitanti). La risposta degli istituti scolastici da quando c’è la legge del Giorno del Ricordo e migliorata rispetto al passato, ma c’è ancora molto da fare. Il pro­getto speciale del Comune di Roma intitola­to ‘Viaggio nella Civiltà Istriana e Dalma­ta’, al quale collaboriamo, ha dato però un notevole impulso allo studio dell’esodo e della tragedia delle foibe. Sono onorato di aver portato nel 2009, con quel viaggio, il Sindaco di Roma, Gianni Alemanno, anche a Fiume, con 50 docenti e 200 studenti».

 

Che cosa rappresenta il cinquantesi­mo per la Società?

 

«Sicuramente tale importante anniver­sario, che abbiamo voluto celebrare il 19 ot­tobre di quest’anno in Campidoglio con un convegno e un concerto (oltre 250 perso­ne presenti) in ricordo del Maestro fiumano Nino Serdoz e dell’orchestra d’archi “Tartini”, per la Società di Studi Fiumani signi­fica tanto impegno, sapienza e tenacia nel perseguire i propri scopi sociali, che sono di ordine prettamente culturale, mentre per gli altri penso sia un esempio da seguire e forse da ammirare.

Il sottosegretario agli Esteri, sen. Alfredo Mantica, ha voluto sa­lutare il 50.esimo anniversario del sodalizio con una bella lettera, dove tra le altre cose dice: ‘Le vicende della vostra Società, nata negli anni venti dello scorso secolo, sciol­ta e poi ricostituita nel novembre del 1960, in terra d’esilio, fanno parte della storia del nostro Paese. Si è trattato di una sfida che poteva anche sembrare velleitaria ma che, come si vede, ha dato i suoi frutti, se oggi siamo qui a ricordarne la rinascita ed i suoi meriti’. Simili parole di stima e di ammira­zione sono state inviate anche dal Ministro per i beni culturali Giancarlo Galan e dal sindaco di Roma Gianni Alemanno».

 

Secondo lei, quale può essere in fu­turo il ruolo della Società? Una sfida, un obiettivo che si è posto?

 

«La Società di Studi Fiumani ha già ben delineato le linee di programmazione futu­ra in questi anni, sicuramente il rafforza­mento delle iniziative con le terre di origi­ne rappresenta uno degli intenti più cari ai nostri dirigenti. Occorre però trovare soste­gni finanziari adeguati e in assenza ancora di una legge quadro, sia per le associazioni degli esuli sia per gli italiani rimasti, vedo molto problematico il perseguimento di una progettualità, che è assolutamente necessa­ria per la sopravvivenza dell’identità istria­na, fiumana e dalmata di carattere italiano. La sfida è sostanzialmente questa per tut­ti noi».

 

(“La Voce del Popolo” 3 dicembre 2011)

 

(Marino Micich -a destra- nel suo frequente impegno di guida dell’Archivio Museo storico di Fiume a Roma) 

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