Qual è stato il suo primo approccio alla Società di Studi Fiumani? Generalmente, la “seconda generazione”, i figli degli esuli, non dimostra particolare interesse per le terre dei loro padri, salvo rare eccezioni. È vero questo? Perché ciò avviene?
«In effetti i figli degli esuli, pur dimostrando sempre un certo interesse per le proprie origini, ben difficilmente riescono a gestire l’impegno lavorativo e famigliare con quello associativo. Penso, però, che si tratti di un problema generale che riguarda, in varia misura, un po’ tutti i settori associativi. Nel nostro caso la dispersione degli esuli in tutte le province d’Italia e in molte parti del mondo nel secondo dopoguerra non favorisce di certo lo sviluppo del fattore identitario e di appartenenza necessario per coltivare progetti culturali e sociali nel segno dell’istrianità o della fiumanità. Tuttavia, devo riscontrare che in questi ultimi anni un rinnovato interesse per la storia delle proprie origini da parte delle nuove generazioni c’è stato. Occorre, però, stimolare il senso di appartenenza nei giovani, non solo con la rievocazione della storia ma anche coinvolgendoli nelle vicissitudini del presente».
Che cosa ha spinto invece lei a indagare il passato e la cultura di queste regioni? Ha origini zaratine, se non sbaglio: come vive il rapporto con le sue radici e la città oggi croata?
«Sin dalla nascita i miei genitori, hanno trasmesso a noi figli, l’amore per la nostra terra dalmata. Una terra ricca di tradizioni storiche, plurilingue e multiculturale. Purtroppo, dopo la Seconda guerra mondiale, il mutamento di regime si è rilevato molto pesante. Solo dopo il 1954, dopo mille difficoltà mio padre riuscì ad ottenere l’opzione per venire in Italia con mia madre. Passarono sei lunghi anni nei campi profughi prima di avere una casa, ma non li ho mai sentiti dire di aver fatto la scelta sbagliata.
A mio nonno paterno invece l’opzione fu negata più volte e così rimase a Zara. Da parte materna metà famiglia (di etnia albanese cattolica) ha optato per l’Italia, l’altra metà è rimasta a Zara (Borgo Erizzo-Arbanasi). Da questi brevi riferimenti famigliari si può capire come il rapporto con la mia terra di origine sia sempre stato molto intenso e continuativo.
Inoltre dal 1960 (anno in cui sono nato) in poi il regime jugoslavo permise a molti di tornare in visita nelle proprie terre e quindi sin da piccolo, con i miei, si tornava a Zara per far visita ai nonni e a passare giornate indimenticabili nel nostro bel mare o in campagna. Col passare del tempo ho appreso sempre meglio il croato, studiandolo perfino all’Università degli Studi di Roma e laureandomi con una tesi sullo scrittore Ranko Marinkovic, cosicché mi sono sentito sempre a mio agio a Zara come anche nel resto della Croazia».
Oggi lei è il Segretario Generale della Società di Studi Fiumani. Quando ha iniziato com’era operare nell’ambito della Società?
«Ho iniziato nel 1994, anno in cui non esistevano fondi a sostegno della cultura degli esuli giuliano-dalmati, ma già dal 1989 i dirigenti della Società, in particolare Amleto Ballarini e Vasco Lucci, ebbero la grande idea di attivare un dialogo ufficiale con la città di Fiume e questo fatto mi attrasse molto. Operare poi con persone come Amleto Ballarini, Giovanni Stelli (direttore editoriale), Danilo Massagrande e altri esuli fiumani, che ormai per motivi anagrafici ci hanno lasciato, è sempre stato un piacere, da loro ho appreso molto in questi anni».
Come viene percepita la Società nella città di Roma e in Italia?
«Devo dire molto positivamente, ormai sono sempre più gli istituti storici e le scuole di ogni ordine e grado che chiedono la nostra collaborazione. Nonostante gli ultimi pesanti tagli governativi alla cultura, riusciamo a mantenere aperta la nostra struttura per 20 ore settimanali al pubblico, a soddisfare esigenze editoriali (vedi la rivista ‘Fiume’) e di catalogazione libraria e archivistica, che ci permettono di fornire precise consulenze ai ricercatori.
Da quattro anni la Società di Studi Fiumani (assieme all’Associazione per la Cultura Fiumana Istriana e Dalmata nel Lazio) è il partner ufficiale del Comune di Roma per progetti scolastici riguardanti il nostro confine orientale e collabora alle iniziative del nostro Ministero dell’istruzione. Inoltre promuoviamo conferenze specialmente in Umbria, in Campania ma anche in altre zone d’Italia».
Lei presiede l’Associazione per la cultura istriana, fiumana e dalmata nel Lazio, che sta svolgendo un lavoro molto approfondito e capillare con le scuole della regione. Qual è la risposta finora ottenuta?
«Tramite tale associazione riesco a promuovere ulteriori studi e conferenze sul territorio del Lazio (una regione che conta oltre 5 milioni di abitanti). La risposta degli istituti scolastici da quando c’è la legge del Giorno del Ricordo e migliorata rispetto al passato, ma c’è ancora molto da fare. Il progetto speciale del Comune di Roma intitolato ‘Viaggio nella Civiltà Istriana e Dalmata’, al quale collaboriamo, ha dato però un notevole impulso allo studio dell’esodo e della tragedia delle foibe. Sono onorato di aver portato nel 2009, con quel viaggio, il Sindaco di Roma, Gianni Alemanno, anche a Fiume, con 50 docenti e 200 studenti».
Che cosa rappresenta il cinquantesimo per la Società?
«Sicuramente tale importante anniversario, che abbiamo voluto celebrare il 19 ottobre di quest’anno in Campidoglio con un convegno e un concerto (oltre 250 persone presenti) in ricordo del Maestro fiumano Nino Serdoz e dell’orchestra d’archi “Tartini”, per la Società di Studi Fiumani significa tanto impegno, sapienza e tenacia nel perseguire i propri scopi sociali, che sono di ordine prettamente culturale, mentre per gli altri penso sia un esempio da seguire e forse da ammirare.
Il sottosegretario agli Esteri, sen. Alfredo Mantica, ha voluto salutare il 50.esimo anniversario del sodalizio con una bella lettera, dove tra le altre cose dice: ‘Le vicende della vostra Società, nata negli anni venti dello scorso secolo, sciolta e poi ricostituita nel novembre del 1960, in terra d’esilio, fanno parte della storia del nostro Paese. Si è trattato di una sfida che poteva anche sembrare velleitaria ma che, come si vede, ha dato i suoi frutti, se oggi siamo qui a ricordarne la rinascita ed i suoi meriti’. Simili parole di stima e di ammirazione sono state inviate anche dal Ministro per i beni culturali Giancarlo Galan e dal sindaco di Roma Gianni Alemanno».
Secondo lei, quale può essere in futuro il ruolo della Società? Una sfida, un obiettivo che si è posto?
«La Società di Studi Fiumani ha già ben delineato le linee di programmazione futura in questi anni, sicuramente il rafforzamento delle iniziative con le terre di origine rappresenta uno degli intenti più cari ai nostri dirigenti. Occorre però trovare sostegni finanziari adeguati e in assenza ancora di una legge quadro, sia per le associazioni degli esuli sia per gli italiani rimasti, vedo molto problematico il perseguimento di una progettualità, che è assolutamente necessaria per la sopravvivenza dell’identità istriana, fiumana e dalmata di carattere italiano. La sfida è sostanzialmente questa per tutti noi».
(“La Voce del Popolo” 3 dicembre 2011)
(Marino Micich -a destra- nel suo frequente impegno di guida dell’Archivio Museo storico di Fiume a Roma)