«Sarei infedele a me stesso e al vangelo se tacessi». E così padre Bogdan Knavs, 38 anni, guardiano del monastero francescano di Sveta Gora in Slovenia ha deciso di parlare. Ad alta voce. Contro la più grande vergogna della Chiesa slovena: il fallimento della diocesi di Maribor. È il crac finanziario più pesante della storia della Slovenia. Un buco da 900 milioni di euro e 10mila dipendenti che rischiano il posto di lavoro. Opera di un faccendiere senza scrupoli? Di un criminale finanziario? Niente di tutto questo.
A fallire è stata la Chiesa, o meglio, le holding controllate dalla Chiesa. E sul banco degli imputati c’è l’attuale arcivescovo di Lubiana Anton Stres, il quale nella sua veste di presidente del Consiglio economico dell’arcidiocesi di Maribor, tra il 2000 e il 2006, quando era vescovo ausiliario di Maribor, ha preso tutte le decisioni, secondo gli analisti, che hanno condotto allo sfascio odierno. La piramide finanziaria ecclesiastica è crollata sotto i colpi del fallimento delle tre principali holding: Zovn (campana) ena, Zvon dva e Gospodarstva Rast. Quest’ultima è rimasta col portafoglio pieno solo di ragnatele. Il suo conto corrente presso la Nova Kreditna Banka Maribor (Nkbm) ammonta a 311 euro e nella cassa della società ci sono appena 128 euro. Intanto i debiti crescono a causa degli interessi di mora di circa 3,5 milioni al mese.
E padre Knavs sulle pagine del settimanale cattolico Družina ha chiesto alla Chiesa di fare i nomi e cognomi dei responsabili della bancarotta. «Nella Chiesa si annida il peccato e la colpa», ha scritto. La risposta della diocesi di Maribor è arrivata sempre sulle colonne di Družina. «Abbiamo concesso eccessiva fiducia ai nostri collaboratori e ai responsabili degli investimenti», hanno scritto i vertici ecclesiastici di Maribor attribuendo ogni responsabilità al vescovo ordinario, all’economo e agli organismi di controllo delle società collegate al fondo Gospodarstva Rast. Nessun nome però.
È stato ricordato che il vescovo e l’economo hanno pubblicamente chiesto scusa del loro operato e che le sanzioni della Chiesa scatteranno quando sarà finito il procedimento giudiziario in corso. Ma padre Knavs non molla. Lui vuole i nomi, vuole che la Chiesa ripari ai danni subiti. Chiede che venga istituito un fondo per raccogliere i soldi da restituire, almeno parzialmente, agli investitori danneggiati e per fare ciò non esita a invitare la Chiesa slovena a vendere alcuni beni immobili non proprio indispensabili per fare cassa. E si guadagna l’incoraggiamento e l’appoggio del cardinale Franc Rode, già arcivescovo di Lubiana, e molto vicino a Papa Benedetto XVI. Ma incassa anche un bel pacchetto di lettere anonime ricche di minacce e di improperi nei confronti della sua persona.
«In Slovenia – ribatte “Frate coraggio” – da due decenni parliamo della riparazione alle colpe (del comunismo ndr), ma oggi accanto alle vecchie colpe se ne sono aggiunte nuove, causate dalla Chiesa stessa e da alcuni suoi membri». «Se questa colpa non sarà riparata almeno simbolicamente – afferma Knavs – questa macchia accompagnerà ancora per decenni la Chiesa slovena». Ma anche il Vaticano non sta facendo nulla per identificare e punire i responsabili di un simile collasso economico. Anzi si vocifera che Stres sia stato nominato arcivescovo di Lubiana proprio per porlo così al di fuori di ogni responsabilità. Mater ecclesia non abbandona il figliol prodigo.
Mauro Manzin