Non è per niente scontato affermare che la guerra non divide solo i popoli, ma anche la scienza. Eppure questo è proprio ciò che insegna la figura di Mario Mirabella Roberti, il direttore del Museo di Pola e direttore degli scavi istriani dal 1935 al 1947, partito esule nel 1947 con l’ultimissimo convoglio diretto a Trieste. Nel decennale della scomparsa, il celebre archeologo, meritevole d’aver salvato il Tempio d’Augusto, è stato finalmente ricordato nella sua città nel corso di una giornata di studio promossa dalla Comunità degli Italiani di Pola e dal Libero Comune di Pola in esilio con tanto di patrocinio dell’assessorato alla cultura di Trieste, la Soprintendenza ai beni archeologici della Lombardia e l’Università degli studi di Trieste.
Ricordare Mirabella Roberti è un obbligo per la scienza ma anche un piacere per i colleghi, gli studenti e i collaboratori che hanno avuto l’onore di lavorarci assieme. Tra questi Piero Tarticchio, già presidente del Centro di Cultura istriano-dalmata, che ha rievocato “l’uomo e lo studioso, esempio di civiltà senza confini”, la sua profonda umiltà, quella che “distingue solo le menti illuminate” e poi “l’amore viscerale per i tesori del passato”, le lezioni universitarie a passeggio, proprio come usavano fare i filosofi antichi, ma soprattutto l’energia incessante e lo spirito di abnegazione che ha animato l’opera di recupero del Tempio d’Augusto e del Duomo, nonostante la consapevolezza che la città sarebbe entrata a far parte dello stato jugoslavo.
Figura straordinaria per l’umanità che “non capita spesso di trovare nei nostri atenei”, insegnante “limpido e cristallino, all’opposto delle figure egocentriche maniacali delle università”, Mirabella Roberti – ha spiegato Giuseppe Cuscito, presidente della Società istriana di archeologia e storia patria – non era semplicemente un grande innamorato delle pietre, ma aveva anche il chiodo fisso della filologia, convinto com’era che nessuna ricerca, nessun reperto, sarebbe mai stato spiegato coerentemente se non essendo considerato nel contesto storico e culturale che l’ha partorito. Da qui il suo fervido interesse per i classici latini e la produzione letteraria patristica, ma anche qualche fissazione di carattere linguistico ed etimologico sui generis, come l’abitudine di chiamare “musaici” i mosaici, per la semplice predilezione del termine “musa” rispetto al nome del profeta ebraico. “Io stesso ho seguito l’esempio per diversi anni – ha confessato poi Cuscito – ma dovetti desistere perché puntualmente gli editori correggevano quello che per loro era soltanto un errore di stampa”.
Tanti i ricordi anche nel pensiero dell’architetto Gino Pavan, oggi novantaduenne, che nel ‘47 diresse l’opera di restauro del Tempio d’Augusto al fianco di Mirabella Roberti, in un clima di “morale flebile nell’incertezza per le sorti della città”, tanto è vero che “si faceva tutto come se il lavoro non dovesse finire mai e tuttavia si era pronti a chiudere il cantiere anche domani, qualora le circostanze l’avessero richiesto”. E venne anche quel giorno, ma la squadra di Roberti aveva ormai completato l’opera di restauro, con la sola eccezione della porta. Dieci anni dopo, nel 1958, l’archeologo è tornato nella “città deserta” con una comitiva di studenti, tra cui Grazia Bravar, che ha raccontato l’aneddoto, e la sua unica preoccupazione era solo di “trovare la porta sul tempio”. Tuttavia la scienza archeologica istriana, ormai divisa nei due filoni tra l’Istria croata e Trieste, continuò a non parlarsi e a non scambiare opinioni fino alla fine degli anni Settanta.
Per la cronaca, al convegno hanno partecipato anche il rettore dell’Università degli studi di Pola, Robert Matijašić, Darko Komšo e Đeni Gobić Bravar del Museo archeologico, la giornalista Lucia Bellaspiga in veste di moderatore e Vesna Girardi Jurkić in qualità di ospite. Tra il pubblico in prima fila anche la vedova di Mirabella Roberti, Lia De Antonellis. Al convegno è stata rinnovata la richiesta alle autorità municipali di omaggiare l’archeologo con una targa commemorativa da collocare sul tempio stesso, visto che, senza Mirabella Roberti, sarebbe andato perso per sempre.
Daria Deghenghi
“La Voce del Popolo” 15 maggio 2012