Nel Museo di Porta San Paolo, a Roma, nei cui immediati pressi si consumò nel settembre 1943 l’eroica resistenza opposta alle truppe naziste da reparti dei Granatieri di Sardegna, dei Lancieri del “Genova Cavalleria” e della divisione “Sassari” unitamente ai civili accorsi, viene allestita a cura dell’Anpi romana una mostra sui crimini di guerra italiani nei Balcani, naturalmente concepita per riproporre la tesi giustificazionista secondo la quale gli eccidi delle Foibe e l’esodo della popolazione italiana dalla Venezia Giulia altro non furono che la reazione spontanea di sloveni e croati alle prevaricazioni del regime fascista nelle aree di confine.
Si inserisce dunque, questa iniziativa, nel solco della fraudolenta negazione delle reali dinamiche ideologiche e nazionali che mossero il movimento partigiano comunista di Tito ad adottare, come non poteva essere altrimenti data la sua dottrina di riferimento, il modello staliniano per il nuovo Stato jugoslavo: che prevedeva l’eliminazione fisica e la messa in condizione di non nuocere di tutti i «nemici del popolo» e di classe (proprietari terrieri, industriali, dirigenti d’azienda, ufficiali delle forze armate), dei nemici ideologici (liberali borghesi, socialisti filo-italiani, intellettuali, insegnanti e sacerdoti), della semplice popolazione civile di lingua e sentimenti italiani. In questa ottica, il nemico più pericoloso era l’antifascista non disposto ad accettare il nuovo ordine sociale e politico, come dimostrano le feroci esecuzioni degli autonomisti di Fiume nel maggio 1945 o dei goriziani Licurgo Olivi, socialista, e Augusto Sverzutti, affiliato al Partito d’Azione; o, ancora, ampliando il raggio, l’eccidio di Porzus, in quel Friuli che vide i partigiani «gappisti» di stretta osservanza comunista massacrare 22 partigiani della “Osoppo”, antifascisti ma contrari all’annessione dei territori contesi alla Jugoslavia titoista. O, ancora, la caccia ai membri del Cln giuliano, una volta che ne uscì nel 1944 il Partito Comunista italiano, del tutto subalterno a Tito per ordine di Togliatti.
Di quella logica totalitaria e del disegno annessionistico jugoslavo indagato ai nostri giorni dai migliori storici, si è nutrita quell’aspirazione nazionale dei popoli slavi del Sud saldatasi con il piano di egemonia ideologica, politica ed etnica dell’area giuliana. Proprio la pulizia etnica del nuovo regime totalitario jugoslavo fu subito retroattiva: si estese alle generazioni passate e alle città storicamente italiane, risultò nei nuovi libri di storia, nelle enciclopedie, nei dépliant turistici, come se mai la regione giuliana e dalmata fosse stata abitata da una popolazione italiana di antico insediamento.
Nei due decenni di regime fascista, al quale certamente si devono imputare logiche ed azioni di snazionalizzazione inaccettabili, non si verificò tuttavia la scomparsa delle comunità slovene e croate dalla Venezia Giulia. Viceversa, con l’occupazione jugoslava gli italiani dell’Istria, di Fiume e di Zara, pur storicamente maggioritari, vennero ridotti ad essere una minoranza del tutto marginale e subalterna.
Nel mese di maggio il Capo dello Stato si recherà a Porzus per rendere omaggio ai Caduti della “Osoppo”, lo ha annunciato in febbraio nel corso della cerimonia commemorativa del Giorno del Ricordo al Quirinale, subito dopo aver dichiarato: «Desidero innanzitutto rinnovare il profondo sentimento di vicinanza e di solidarietà mio personale e delle istituzioni repubblicane ai familiari delle vittime delle orrende stragi delle Foibe e ai rappresentanti delle associazioni che coltivano la memoria di quella tragedia e dell’esodo di intere popolazioni».
Gorizia, 15 marzo 2012
Comm. Dott. Rodolfo Ziberna
Vicepresidente nazionale vicario ANVGD