Cara “Europa”, l’immonda presenza ad Albano Laziale, e non solo, di squadracce di SS in pectore inneggianti a Priebke, ha provocato qualcosa di più dello schifo per una sub-umanità come quella di cui la tv ci ha fornito ampie documentazioni, che avrebbero fatto la gioia del vecchio medico positivista che misurava l’intelligenza col compasso.
No, ha provocato nelle persone di altissima umanità e buonsenso un involontario moto illiberale, con la richiesta di perseguire il negazionismo come reato. Dopo tutte le polemiche, si vide a suo tempo quanto pretestuose, sul revisionismo, non vorrei che anche il negazionismo perseguito alimentasse polemiche sconclusionate, in una società che ha bisogno di scartare i rifiuti ma trovarsi compatta.
Ettore D’Egidio, Perugia
Caro professore, comprendo, ma il terreno è minato e dobbiamo procedere con cautela. La contestazione del revisionismo fu una sciocca polemica, animata dal furore dei vincitori che avevano pagato enormi sacrifici di sangue e che non s’acconciavano a veder revisionati, appunto, i luoghi comuni della cultura generale, attraverso lo studio di nuovi documenti.
Quei documenti – insegnava Croce – il cui rinvenimento e la cui interpretazione costituiscono la base della nuova storiografia, appunto del revisionismo storico. Sicché ogni vero libro di storia, che non sia una pappardella di ripetizioni scopiazzate, è un libro revisionista. Di ciò siamo talmente convinti che nessuno di noi, chi amandoli di più chi amandoli di meno, osa mettere in dubbio l’enorme contributo alla cultura dei De Felice, dei Nolte, dei Furet con la loro coraggiosa opera revisionista. Al più, talvolta, osiamo ironizzare su qualche loro pagina, evocando la sindrome di Stoccolma.
Il presidente Napolitano, dichiarandosi – nel grande tempio ebraico di Roma – «convinto che il reato di negazionismo verrà presto completato in parlamento», ha tenuto ben presente l’abisso che c’è tra negazionismo e revisionismo. E trovo giusto, fra gli altri, anche l’intervento del consigliere 5 Stelle in Campidoglio, che ha auspicato l’approvazione di quel nuovo reato non nella celerità “fredda di una commissione”, come ha disposto il presidente Grasso dopo le parole di Napolitano, ma “nella solennità dell’aula”, sia al Senato che alla Camera.
Personalmente, temo i rischi di un reato di negazionismo per la fragilissima e misconosciuta cultura liberale del Paese (se ce n’è ancora un po’, dopo il ladrocinio che ne hanno fatto i berlusconidi per nobilitare la pirateria dell’anarcoliberismo).
Quanti stati, nazioni, culture fondative dovrebbero essere imputati del reato di negazionismo: a cominciare dalla Chiesa, che non ha mai parlato (finora) della distruzione fisica di 100 milioni di abitanti del centro e sud America ad opera dei masnadieri dei re cattolicissimi di Spagna e Portogallo; per finire alla Russia dell’arcipelago gulag e a Francia e Polonia, dove i pogrom antiebraici precedettero di decenni o secoli quelli scientifici di Hitler; e senza dimenticare il genocidio degli Armeni, la cui negazione, da Ataturk a Erdogan, è parte essenziale della cultura nazionale della nuova Turchia. Per non parlare degli infiniti dittatori omicidi che, prima e dopo la decolonizzazione, si sono succeduti e tuttora siedono negli scranni dell’Onu.
Preferirei che il negazionismo comportasse una contravvenzione di polizia, con obbligo di accompagnare il negazionista sui luoghi dei delitti negati, e fargli ingoiare tanta di quell’aria fetida da far sentir male perfino un disgraziato come lui.
Federico Orlando
www.europaquotidiano.it 19 ottobre 2013