Non dimentichiamo la tragedia dell’Arsa

Se Vergarolla deve essere considerata la strage più sanguinosa avvenuta in Italia dalla proclamazione della Repubblica ad oggi, la tragedia dell’Arsa, in Istria, è la tragedia mineraria con un numero di vittime ben superiore a quello di Marcinelle in Belgio: 185 tra italiani croati sloveni; gli italiani soprattutto istriani ma anche sardi e di altre regioni.

Tragedia rimossa: i morti considerati croati dall’Italia, italiani e fascisti dai croati.

Già in epoca veneziana si era iniziato a sfruttare quel giacimento carbonifero; l’Austria lo aveva incrementato e l’Italia aveva consolidato l’impresa che gestiva la miniera passandone la proprietà ad un ente che coordinava da Roma tutte le miniere di carbone del Paese, fatto, questo, che aveva causato un forte scontento e provocato l’occupazione della miniera durante la breve vita della Repubblica di Albona, di  stampo sovietico, nel 1921.

Dopo 35 giorni la Repubblica era stata repressa e il governo italiano immediatamente iniziava la modernizzazione degli impianti che, però, non aveva prodotto alcun miglioramento economico alla proprietà.

Con le sanzioni  economiche contro l’Italia,nel 1935, inizia la crescita industriale dell’Arsa: da 350.000 tonnellate di carbone prodotte in quell’anno nel 1939 si raggiunge il milione; gli operai da 1.839 diventano 9.000. L’Arsa è la più grande  miniera italiana.

Il padre del suo  sviluppo economico è il triestino Guido Segre che costituisce l’Azienda Carboni Italiani-A.Ca.I-, svolta decisiva nello sviluppo dei bacini minerari indispensabile all’autarchia di allora.

Guido Segre, convertito al cristianesimo e membro del Partito Fascista, è costretto a dimettersi nel 1938 in seguito alle leggi razziali.

L’anima della miniera fino al 1939 è l’ing. Augusto Batini che, quasi ogni giorno scende in miniera e ne conosce perfettamente le reali possibilità. E’ in quell’anno che Batini si rifiuta di forzare la produzione a dismisura e viene licenziato.

Anche l’ideatore dell’avveniristico villaggio residenziale dell’Arsia, architetto Gustavo Pulitzer Finali, subisce le leggi razziali ed emigra negli Stati Uniti.

Allontanati Segre e Batini, la situazione, già grave, peggiora.

I nuovi direttori non sono competenti per dirigere un’impresa tanto importante; si distinguono per la mancante capacità tecnica e i troppo abbondanti meriti politici.

Manca, soprattutto, la grande umanità dell’ing. Batini.

Alle 4,45 del 28 febbraio 1940 una spaventosa esplosione. Non esiste alcuna testimonianza che ci racconti come l’incidente si vive all’esterno. Forse un boato, forse una nuvola di fumo che esce dal pozzo. Da ogni parte corrono alla miniera le mogli, i figli, i genitori dei minatori; piangono, gridano: le loro urla si sentono ad oltre un chilometro di distanza. Questa è tra le poche notizie che sono arrivate a noi: scene di disperazione.

L’estrazione di quei poveri corpi-185- , avvolti in coperte o lenzuiola, continuerà fino al 12 marzo, prolungando l’angoscia dei parenti e dell’intera collettività che vive per lo più intorno ad Albona ma anche in tutta l’Istria e nel resto d’Italia.

I morti istriani possono essere contadini, piccoli proprietari che con il lavoro in miniera, continuo, possono avere una paga sicura per sostenere la famiglia, cosa che la campagna non sempre concede; certamente non hanno grandi qualifiche professionali. I più giovani erano nati nel 1921.

Per questa tragedia nessuno viene condannato; una perizia parla di cause non accertabili, loda la grande abnegazione degli operai e la veloce assistenza.

All’Arsa si riprende ad estrarre carbone, si aumentano le prescrizioni di sicurezza, il rendimento si abbassa.

Sulla tragedia e sulle vittime si abbassa quella nuvola di fumo che, forse, alle 14,45 del 28 febbraio 1940 usciva dal pozzo: nessun vento soffia per cacciare quella nuvola e per ricordare quei 185.

Anna Maria Crasti
Anvgd Milano

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Il Piccolo – 28/02/2022
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