Le associazioni giuliano-dalmate conoscono il Prof. Enrico Miletto grazie al suo prezioso contributo per aver intervistato, con metodo rigorosissimo, gli esuli che si sono stabiliti a Torino e per rendere accessibile la preziosa documentazione custodita negli archivi dell’Istoreto. La sua ricerca si è estesa coinvolgendo poi, oltre Torino, altre province del Piemonte. Per la storia del Confine Orientale il Prof. Miletto ha prodotto alcuni testi, che riportano i dati delle interviste e le completano con una contestualizzazione storica di ampio respiro.
Recentemente il suo editore, Franco Angeli, gli ha chiesto una trattazione avente carattere divulgativo, pur mantenendo il carattere rigorosamente scientifico. Per quanto riguarda le fonti, ha consultato il vasto materiale presente a Roma all’archivio dell’Ufficio per le Zone di Confine ed ha cercato di integrare la narrazione storica con gli spunti derivanti da cinema, musica e letteratura. Questo allo scopo di permettere al lettore di accostarsi agli avvenimenti nella giusta prospettiva necessaria per districarsi in una storia complessa e spesso di difficile interpretazione. Finalità senz’altro meritoria a più di 15 anni dall’ istituzione del Giorno del Ricordo.
Le finalità qui esposte sono illustrate nell’introduzione del libro.
Per la conferenza, ci siamo avvalsi delle conoscenze della Dott.ssa Petra Di Laghi, presente all’incontro, che ha analizzato alcune parti del libro formulando all’autore delle domande ed innescando la discussione.
Si è partiti dall’esodo, vero elemento di frattura nella storia giuliano-dalmata, da vedersi nel quadro più ampio degli spostamenti di popolazione post Seconda guerra mondiale, che ha coinvolto 20-22 milioni di persone espulse dai territori di abituale e talvolta secolare ancestrale residenza. L’esodo istriano ha, all’interno di questo quadro generale, le sue specificità. Per prima cosa è un esodo di lungo periodo. La seconda specificità è la mancanza di provvedimenti di espulsione (come avvenuto invece per i tedeschi), sottolineando, però, che proprio l’esercizio del potere popolare titino è stato il motivo dell’allontanamento forzato. Il relatore cita l’articolo di Indro Montanelli che sale sul Toscana per descrivere le condizioni psicologiche in cui versano quegli infelici involontari viaggiatori. Ricorda l’acuta analisi di Nelida Milani che descrive come vive la città di Pola nel dopo esodo. Pone in rilievo lo spaesamento esistente ripreso anche da un’altra studiosa di storia sociale, Gloria Nemec.
L’interlocutrice chiede poi all’autore di elencare le diverse fasi dell’accoglienza degli esuli. La prima assistenza viene data dai centri di raccolta, che forniscono il necessario primo aiuto. Il secondo tipo di assistenza viene fornito dall’Ufficio per le Zone di Confine, che nasce nel ’47 per volontà di De Gasperi e con funzioni precipue di coordinamento. In questi centri gli esuli vivono profondamente spaesati, costretti a vivere in un ambiente e con modalità completamente differenti da quelle a cui erano abituati nei loro luoghi d’origine. Il CRP viene definito “lemma” del Novecento, in Italia come negli altri centri in Europa; diventa un non luogo, uno spazio dell’anonimato, caratterizzato dalla spersonalizzazione, dalla perdita della propria terra e della propria condizione, dal rovesciamento dell’identità. L’alloggiamento avviene talora in baraccamenti abusivi (come al Valentino a Torino).
L’Ufficio Zone di Confine prospetta agli esuli un inserimento lavorativo, con tutti i condizionamenti imposti dal dopoguerra italiano. In questo frangente gli ex dipendenti pubblici sono i più fortunati, potendo aspirare a mantenere il proprio impiego nel territorio della Penisola (come nel caso della Manifattura Tabacchi). Nel 1952 appare la Legge Scelba, che obbliga il 5% delle imprese private e pubbliche ad assumere esuli. Ad essa si aggiunge la legge sull’assegnazione delle case a edilizia agevolata, che destina il 15% delle costruzioni agli esuli. Accanto allo stato operano enti religiosi, di diverso tipo, quali la Pontificia Opera di Assistenza, o genericamente assistenziali, come l’Opera Nazionale per i Profughi Giuliani e Dalmati, che tutela specialmente i bambini.
Internazionalmente attivi operano altri istituti, derivazioni delle Nazioni Unite, come l’UNRRA e l’IRO. L’UNRRA si occupa della prima assistenza alle DP (Displaced Persons), fornendo i famosi omonimi pacchi, anticipando l’azione del Piano Marshall. L’IRO si occupa dei rifugiati che per diversi motivi non possono rientrare nei loro paesi di origine, e per essi prevede una ricollocazione oltremare. L’IRO gestisce i campi che accolgono le persone destinate ad emigrare, cura i contatti con i governi delle nazioni che li ospiteranno, si preoccupa di organizzare le temutissime visite mediche e provvede a pagare il lunghissimo viaggio in nave. Il governo italiano succede all’IRO nella gestione di questi campi, assumendone gli oneri: in cambio ottiene che anche gli esuli possano usufruire di questo programma.
Il più noto è l’Immigration Camp di Bagnoli.
E quali le dinamiche che inducono gli esuli a partire? E quali sono i profughi? Quelli del ’53.’54, ossia quelli della seconda ondata, ai quali si associano anche i triestini per le mutate condizioni economiche, più disagiate dopo la partenza degli alleati da Trieste.
La conferenza si conclude con la manifesta soddisfazione della Dott.ssa Di Laghi, che afferma che il libro, nonostante sia un testo di larga divulgazione, ha tutta l’attenzione di un testo scientifico tipico di tutta la produzione dell’autore.
Ed in effetti, considerando i temi trattati, che in questa breve sintesi sono stati toccati solo in una piccola parte, il libro del Prof. Miletto rileva le sue doti di facilità di lettura, completezza e rigore.
Alcune domande in coda alla conferenza denotano l’interesse che la trattazione ha destato, il che permette all’autore di aggiungere alcuni interessanti dettagli e punti di vista sul fenomeno dell’esodo e sull’accoglienza ricevuta.