I moti carbonari, i moti del 1848, i moti mazziniani: l’insurrezione popolare o i tentativi di smuovere le masse in una rivolta contro la dominazione straniera in Italia sono presenti di frequente nella storia del nostro Risorgimento. I moti del ’53 sono quelli che avvennero a Trieste non nell’Ottocento bensì nel 1953, non contro l’Austria bensì contro il Governo Militare Alleato che per effetto del Trattato di Pace del 10 febbraio 1947 governava sulla Zona A (la città di Trieste) del mai costituito Territorio Libero di Trieste, mentre sulla Zona B (Istria settentrionale) esercitava il suo potere un Governo Militare Jugoslavo. Come i moti ottocenteschi anche in quest’occasione ci furono eroi ed oppressori, vittime e sicari: decine i feriti tra i civili, 6 caduti nelle due giornate di scontri ed un altro morto in seguito per le ferite riportate. È a questi ultimi martiri del Risorgimento che è stato dedicato I moti del ’53, una lezione-spettacolo realizzata dalla Lega Nazionale in collaborazione con il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia su drammaturgia originale di Paolo Valerio. Quest’opera è stata portata in scena nell’ambito di èStoria 2024 al teatro Verdi di Gorizia a conclusione delle attività proposte dall’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia per la XX edizione del Festival internazionale della Storia.
Immagini e filmati d’epoca hanno portato il pubblico nel clima e nelle emozioni di quelle giornate di inizio novembre in cui gli italiani di Trieste ribadirono la propria appartenenza nazionale e la volontà di tornare a far parte dell’Italia al cospetto di ottusi e reiterati divieti di esposizione della bandiera tricolore nelle giornate che avevano celebrato i 35 anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale che rappresentò la redenzione di Trieste dalla dominazione austro-ungarica. L’inquadramento della vicenda è stato fornito dalle spiegazioni di Davide Rossi e Gianni Oliva, due storici del confine orientale che hanno presentato con enfasi e partecipazione emotiva le problematiche di politica internazionale e le questioni geopolitiche che rallentavano la soluzione della questione di Trieste, rimasta in bilico tra l’Italia e la Jugoslavia, che però non era più legata a doppio filo all’Unione Sovietica ed era anzi, pur dichiarandosi terzomondista, un interlocutore delle potenze occidentali nelle dinamiche della Guerra Fredda.
Le grandi manifestazioni del 4 novembre 1953 al Sacrario militare di Redipuglia vedono partecipare i massimi esponenti del Governo Pella nonché centinaia di triestini giunti in patriottico pellegrinaggio: al ritorno nel capoluogo giuliano vorranno esprimere l’entusiasmo e la passione nazionale che hanno provato durante quelle celebrazioni sventolando il tricolore, anche se le autorità militari lo hanno vietato. Scoppiano i primi tafferugli, ci sono scontri con la polizia e la giornata seguente scendono in piazza anche gli studenti. I cantieri dei lavori in corso davanti alla Chiesa di Sant’Antonio forniscono cubetti di porfido con cui scatenare una sassaiola contro le forze di polizia che intendono sciogliere la manifestazione e danno la caccia al Tricolore. La situazione degenera, i manifestanti cercano riparo nella chiesa e vengono inseguiti all’interno e presi a manganellate. La cerimonia di riconsacrazione del luogo indetta per il pomeriggio dal Vescovo Antonio Santin dà luogo a nuove agitazioni, gli spari in aria dei poliziotti non disperdono la folla, colpi di pistola vengono indirizzati ad altezza d’uomo e ci sono i primi morti.
Gli attori Maria Grazia Plos e Giacomo Faroldi leggono struggenti testimonianze di parenti dei caduti ed appelli pronunciati dalle autorità per riportare la situazione sotto controllo. Pierino Addobbati era un quindicenne, la più giovane vittima di quelle giornate di rivolta ed emozionante è stato l’intervento sul palco del Presidente della Lega Nazionale Paolo Sardos Albertini, il quale quel giorno era venuto ad assistere alla cerimonia di consacrazione assieme al fratello maggiore ed aveva conosciuto a scuola il giovane patriota di origine dalmata colpito a morte dagli agenti del nucleo mobile.
La narrazione è incalzante, anche chi già conosce queste pagine di storia viene coinvolto dalle passioni, dalle testimonianze, dalle immagini che scorrono e dal ritmo con cui i due storici proseguono la narrazione. Il 6 novembre in città c’è lo sciopero generale, il Sindaco Gianni Bartoli vuole esporre dal Municipio il Tricolore listato a lutto per i caduti del giorno precedente, il GMA ottusamente si oppone e le manifestazioni si fanno ancora più accese. È Piazza Unità d’Italia il luogo degli scontri più violenti, con la sede dell’amministrazione militare anglo-americana presa di mira dai manifestanti. Cariche di polizia, agenti che vengono disarmati o fuggono, spari che provengono dalla Prefettura e fanno ulteriori vittime, tra cui Leonardo Manzi, un altro giovane, che morirà nel letto dell’ospedale invocando “Viva l’Italia!”.
E “Viva l’Italia”, “Viva Trieste e l’Istria italiane” si griderà nelle manifestazioni di solidarietà che si svolgono in tante piazze d’Italia. La calma torna nel capoluogo giuliano e la folla che accompagnerà i funerali dei sei morti è imponente, c’è quasi tutta la città che segue il corteo funebre alla cui testa c’è il Vescovo Santin che nella cattedrale di San Giusto ha recitato la messa per quelle vittime. I rappresentanti del governo italiano non vengono autorizzati a intervenire e perciò contemporaneamente a Roma i vertici dello Stato assistono nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli ad un rito in suffragio dei propri connazionali morti a Trieste.
L’emozione del pubblico si scioglie in un prolungato applauso finale che conclude la rappresentazione, il cui valore divulgativo e didattico è indiscutibile.
Un anno dopo il Memorandum di Londra avrebbe finalmente sancito il ritorno dell’amministrazione civile italiana a Trieste, avvenuto ufficialmente il 26 ottobre 1954. Ricorreranno quindi ben presto i 70 anni da questa seconda redenzione del capoluogo giuliano e sarà un evento che anche l’ANVGD contribuirà a celebrare.
Lorenzo Salimbeni