Click. I tre fari si scaldano e poco alla volta il Tricolore del Monte Sabotino torna a illuminare la notte di Gorizia e dell’Isontino. Non è un’accensione traumatica. Il passaggio dal buio alla luce è delicato, di una delicatezza quasi irreale se si pensa a tutte le polemiche del recente passato. Dal perimetro esterno della casermetta, le polemiche degli ultimi anni sembrano un ricordo impalpabile e sbiadito: un ricordo più che remoto. La retorica è lontana da quassù. Se si esclude il rumore delle squadre antincendio boschivo della Protezione civile e della Forestale che lavorano per rimettere tutto in ordine dopo i fuochi d’artificio e il via vai dei responsabili del Comune, degli agenti della Polizia municipale, dei Carabinieri e della Polizia, dal Sabotino, si sente soltanto la voce del monte e della natura. Le due città sembrano luoghi lontani. Sono agglomerati luminosi che stanno giù, all’inizio della pianura disegnata dall’Isonzo. Dalla quota 559 le contese sul tricolore e sulla scritta Nas Tito sembrano cose aliene, impossibili anche da pensare. Le luci di Gorizia si fondono con quelle di Nova Gorica e viceversa. Da una parte svetta il Castello, dall’altra il Casinò Perla, ma il confine inteso come è stato inteso per decenni – come un luogo fisico -, qui non esiste più già dal 2004. Dallo scorso dicembre le persone si possono spostare dall’Italia alla Slovenia senza dover più mostrare i documenti alla dogana, qui potevano farlo già prima. Le luci del Tricolore lo hanno fatto da sempre, sconfinare. Mentre il simbolo bianco-rosso-verde riempiva durante la notte la pianura di entrambi gli Stati, durante il giorno a lanciare una provocazione transfrontaliera era la scritta di pietra posizionata sul versante sloveno: prima Nas Tito, poi Slo, poi Nas Fido, poi ancora Nas Tito. Qualunque fosse la scritta, a ogni modifica o cancellazione seguivano delle polemiche.
Polemiche ce ne sono state anche quando il Tricolore è stato spento, poi riacceso, poi di nuovo spento. Ora le luci illuminano di nuovo la pianura. Lo fanno con delicatezza. La cronaca racconta che a spegnerle sia stato l’ex prefetto Roberto De Lorenzo. Lo avrebbe fatto per non offendere la suscettibilità del governo vicino.
Fuori dalla casermetta c’è il generale Sabato Aufiero. Quella del Tricolore è stata una sua battaglia personale. È emozionato. Al termine dei fuochi d’artificio stappa una bottiglia di spumante per festeggiare, ne offre a tutti e ricorda: «Le luci vennero accese nel 1972 per volontà del tenente colonnello Nicolò Minnesi. Le volle per onorare i morti di Oslavia, non in chiave anti-jugoslava. La giornata di oggi è dedicata alla sua memoria».
Oggi c’è l’Europa e in quest’ottica, la proposta più recente relativa al Sabotino è quella avanzata dal consigliere comunale di opposizione Livio Bianchini. Per par-condicio, la scorsa settimana, con l’imminenza della data del 4 Novembre, l’esponente di Rifondazione comunista aveva suggerito di aggiungere al Tricolore la bandiera slovena sul versante sloveno e quella dell’Ue a cavallo del confine. Nel passato, come nel presente, le proposte non sono mancate e non mancheranno nemmeno in futuro.
Tanto da una parte, quanto dall’altra della frontiera, chi più, chi meno, tutti si sono abituati a gettare di tanto in tanto uno sguardo verso quesato monte conteso. Tanto per vedere se qualcosa è cambiato.
Nel frattempo ieri sera, alle 19.15 un maresciallo del Reparto comando e supporti tattici della Brigata di cavalleria «Pozzuolo del Friuli», come da ordini, ha riacceso il Tricolore. Lo ha fatto con delicatezza: con un semplice click.
Stefano Bizzi