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Orrori del Novecento: foibe come Katyn (Mess. Veneto 09 feb)

di FULVIO SALIMBENI

Il Giorno del Ricordo sarà al centro, a Udine, anche de Gli incontri con l’autore, il ciclo promosso dalla Biblioteca Civica Vincenso Joppi e dal Comune. Oggi alle 18, in sala Aiace, sarà presentato il libro Le foibe giuliane. Note e documenti di Elio Apih, storico dell’ateneo triestino scomparso nel 2005. A parlare del volume (Libreria Editrice Goriziana, 162 pagine – 18,00 euro) sarà Fulvio Salimbeni, dell’Università di Udine, che qui lo illustra ai lettori. Introdurrà Silvio Cattalini, presidente dell’Associazione Venezia Giulia e Dalmazia. Il Giorno del Ricordo è dedicato alla tragedia delle foibe e dell’esodo tra 1943 e 1947, ma nei discorsi ufficiali troppo spesso ci si sofferma soltanto a descrivere quanto allora accaduto, senza cercare di spiegarne in maniera argomentata le ragioni profonde. Giunge allora opportuna la pubblicazione del volume postumo d’uno studioso triestino di prestigio nazionale, Elio Apih, scomparso nel 2005, Le foibe giuliane. Note e documenti, corredato di un’ampia nota d’inquadramento di Roberto Spazzali, specialista in materia, e d’un ricordo dell’illustre storico dovuto a Marina Cattaruzza, che ne fu allieva e oggi è una riconosciuta specialista di storia del confine orientale, uno dei luoghi emblematici di quel secolo “criminale” che, secondo autorevoli definizioni, è stato il Novecento.

Sollecitato dal lavoro svolto negli anni Novanta nella commissione mista storico-culturale italo-slovena, di cui aveva fatto a lungo parte – costretto poi al ritiro per motivi di salute –, l’autore di questo volume, interrotto quando mancava l’ultima revisione, peraltro compiuta in modo egregio dal curatore, ha voluto approfondire il discorso al riguardo, riuscendo con ricca copia di prove a smontare la lettura “assolutoria” di tali sanguinosi episodi, a lungo circolante pure nell’ambito della sinistra italiana, che in quanto avvenuto inizialmente tra settembre e ottobre 1943, subito dopo la dissoluzione dello stato italiano in seguito all’armistizio, e poi nel maggio-giugno 1945, alla disfatta del Terzo Reich, vedeva una semplice e naturale reazione spontanea delle popolazioni slovene e croate alle ventennali vessazioni e persecuzioni fasciste. Padroneggiando come pochi la storia dell’area alto-adriatica in età contemporanea, in particolare il periodo tra le due guerre mondiali e le componenti nazionaliste e socialiste di qua e di là dal confine, avvalendosi della sua stessa esperienza di giovane supplente al liceo di Pisino – località che era stata uno degli epicentri della prima ondata di violenze – tra 1943 e 1944, nonché avendo sempre presente la fondamentale lezione metodologica e storiografica del suo maestro Gaetano Salvemini, l’Apih, minimamente intendendo sminuire le colpe pregresse del regime fascista.

E dunque per un verso – oltre a rifarsi al folclore locale a proposito delle foibe e delle leggende che le riguardavano per spiegare le ragioni d’una così efferata scelta d’eliminazione fisica dei nemici, veri o presunti che fossero – ha correttamente dilatato l’orizzonte dell’indagine al coevo contesto europeo, rilevando come le procedure d’esecuzione delle vittime ricalcassero in larga misura le modalità dello sterminio di Katyn, dove la polizia politica sovietica nel 1940 in pochi giorni aveva liquidato circa 20.000 ufficiali polacchi prigionieri, per decapitare la classe dirigente di quella disgraziata nazione, mentre per un altro, avvalendosi della stessa memorialistica jugoslava, ha documentato in maniera inoppugnabile l’esistenza d’una meditata strategia di terrore messa a punto dal movimento partigiano guidato da Tito, che, per esplicita ammissione del suo braccio destro ideologico, lo sloveno Kardelj, intrecciava con esiti micidiali – pure qui ripetendo un’esperienza già propria dell’Urss staliniana –, il virulento nazionalismo della popolazione locale (uguale e contrario a quello fascista) con il disegno rivoluzionario comunista, in questo modo riuscendo a ottenere un largo seguito anche tra coloro che altrimenti non avrebbero minimamente sostenuto la lotta armata della Resistenza. È ciò, pertanto, che spiega la reale sostanza dei luttuosi eventi d’allora, che non furono spontanee jacqueries rurali, bensì la coerente attuazione d’un preciso e lungamente preparato disegno strategico.

(courtesy MLH)

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