Nel suo discorso di fine anno il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha toccato pure alcuni temi che stanno a cuore al popolo degli esuli istriani, fiumani e dalmati.
Innanzitutto gli ampi riferimenti alla pace e poi alla Patria, individuando tante forme di patriottismo, a partire da coloro i quali hanno consacrato la propria vita e dedicato il proprio lavoro al servizio della Patria appunto, dai militari agli insegnanti passando per il personale medico e tante altre professionalità. Ma è stato soprattutto bello sentire che «è patriottismo quello di chi, con origini in altri Paesi, ama l’Italia, ne fa propri i valori costituzionali e le leggi, ne vive appieno la quotidianità, e con il suo lavoro e con la sua sensibilità ne diventa parte e contribuisce ad arricchire la nostra comunità». È questa la matrice su cui si è formata e consolidata nel corso dei secoli la comunità italiana dell’Adriatico orientale: la presenza italiana autoctona ha accolto persone di diversa origine nazionale che si riconoscevano nella storia, nella cultura e nelle tradizioni che l’italianità rappresentava. Nel Risorgimento ed in periodo irredentista i cognomi di tanti nostri patrioti dimostravano origini slave, germaniche, ungheresi e perfino greche, essendo diventato soprattutto il porto di Trieste con tutte le sue diverse componenti nazionali giunte per motivi di lavoro una fucina di italiani. Lungi da noi è sempre stata qualsiasi interpretazione dell’appartenenza nazionale come un fattore razziale o di sangue, tipico di altri approcci nazionalisti che hanno finito per scatenare operazioni di “pulizia etnica”.
E poi, come ha ben rilevato Davide Rossi nell’editoriale pubblicato su L’Arena di Verona, la “Comunità”. Per noi c’è sempre stata l’Italia come Patria di riferimento, ma abbiamo sentito molto forte l’appartenenza ad una piccola Patria, una comunità appunto, rappresentata dal nostro territorio di origine, dalle cittadine abbandonate dagli esuli, dal nostro dialetto e dalle nostre usanze. E comunità è soprattutto quella che si è consolidata nei Centri Raccolta Profughi e nel nostro associazionismo, una comunità capace di creare la solidarietà con cui attraversare i duri anni trascorsi nei CRP e le diffidenze che in alcuni casi hanno accolto i nostri padri, ma anche una nuova rete di amicizie e di legami sorti nei luoghi di destinazione tra esuli che avevano perso i contatti con parenti e amici sparpagliati altrove dall’Esodo o rimasti oltre Adriatico. Comune appartenenza, comune sentire e, come Mattarella stesso ha riconosciuto durante le cerimonie di un recente Giorno del Ricordo, capacità di conservare e tramandare una storia rimossa o mistificata per lunghi decenni.
E infine gli 80 anni della Liberazione «da tutto ciò che ostacola libertà, democrazia, dedizione all’Italia, dignità di ciascuno, lavoro, giustizia». Declinare questo prezioso concetto nelle vicende della frontiera adriatica significherà riconoscere che, mentre il resto d’Italia festeggiava la Liberazione appunto nella primavera del 1945, a Trieste, Gorizia, Pola, Fiume e Zara nulla di ciò avvenne e anzi le forze del comunismo jugoslavo colpirono duramente libertà, democrazia, dedizione all’Italia, dignità degli italiani e senso di giustizia con la seconda ondata di stragi delle foibe.
Renzo Codarin
Presidente Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia