Come ha osservato la senese Novella Di Nunzio al convegno internazionale “L’esodo giuliano-dalmata nella letteratura” (Trieste, 28 febbraio – 1.mo marzo 2013), nel nostro percorso umano e storico ci sono momenti particolarmente critici, in cui la letteratura, rafforzando al massimo la propria funzione morale e civile, nasce dall’urgenza, antropologica, prima ancora che ideologica e artistica, di raccontare un dramma concreto e condiviso, per ricostruirne l’entità e scovarne, se possibile, il senso. È avvenuto, ad esempio, con il neorealismo, affermatosi tra il 1945 e il 1955 in Italia, a seguito della guerra civile e della Resistenza antifascista. E nel medesimo periodo in cui nasceva e si esauriva tale movimento culturale, si consumava un’altra pagina travagliata e difficile di storia italiana, pure questa derivante dagli orrori della Seconda guerra mondiale: le foibe e l’esodo degli istriani, fiumani e dalmati. E anche in questo caso, rileva sempre la studiosa dell’Università di Siena, “la particolare tragicità degli eventi ha innestato un’urgenza del racconto, dando vita a una produzione letteraria che presenta significativi punti di contatto con il neorealismo: la matrice necessaria e antropologica, la spiccata funzione etica e sociale, il bisogno di trovare un senso alla sofferenza umana, e di fare della letteratura uno strumento di identità nazionale, il cemento unitario di una popolazione altrimenti divisa, smembrata, privata della propria entità”.
Tuttavia, se il neorealismo viene riconosciuto e studiato, la letteratura dell’esodo giuliano-dalmata, per lungo tempo ignorata dai più, solo di recente è stata accolta nel canone e ha acquisito quella dignità che le compete e il convegno citato ha appunto confermato. Non nuocerà, però, come del resto fatto pure a Trieste nei giorni scorsi, che uno dei primi passi in questo tragitto di riconoscimento dell’esistenza e del valore di questa produzione furono compiuti dalla rivista culturale “La battana”, pubblicata dalla nostra casa editrice. Negli anni Ottanta, infatti, il trimestrale all’epoca diretto da Ezio Giuricin – affiancato, nella redazione, da Maurizio Tremul ed Elvio Baccarini – era uscito con una serie dedicata a tale letteratura (si veda il primo numero doppio 97/98, incentrato sull’aspetto critico della “letteratura dell’esodo”), affrontandola da un’angolatura particolare, analizzandolo cioè nei suoi risvolti e contenuti letterari, per capire meglio la valenza generale, universale, simbolica del fenomeno. Avviando al contempo un discorso di riconciliazione tra le due “anime” della popolazione italiana autoctona dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, per ricomporre le trame spezzate di una cultura, ma anche per dare un “senso” alla difficile esperienza dell’esilio, per “riscattare” la sofferenza subita da un popolo ingiustamente diviso.
Del resto, l’esodo, come ha ribadito la studiosa polese Elis Deghenghi Olujić in un intervento molto apprezzato, ha riguardato tanto chi ha lasciato le terre giuliano-dalmate quanto chi è rimasto, sottoposto quest’ultimo a un “oltraggioso ‘spossessamento’ dell’identità”, a un tumultuoso processo di trasformazione, che ha modificato profondamente e violentemente i connotati antropologici e sociali dell’ambiente. La scrittura è diventata così un modo “per lenire la ferita prodotta dall’esodo”, una “battaglia pacifica, culturale in primis, un moto di orgoglio, un modo per dare voce a tanti ‘nessuno’ della Storia, alla gente che nessuno calcola e che dalla Storia è stata umiliata”.
Le testimonianze letterarie su ciò che l’esodo ha significato per questa nostra regione, dunque, non mancano (a dispetto di certi negazionisti di mestiere); ora si tratta di definire i “canoni” di questo filone, di questo genere, e di collocarlo all’interno della letteratura nazionale italiana. È stato questo – anche – l’obiettivo del convegno internazionale che si è appena concluso al Civico Museo della Civiltà istriana, fiumana e dalmata di Trieste, e che per due giorni ha coinvolto oltre ottanta italianisti di tutto il mondo – ha fatto comparsa, un po’ a sorpresa, pure lo scrittore e germanista Claudio Magris, intervenuto nella sessione in cui si è discusso dell’esperienza di Marisa Madieri, scrittrice di origini fiumane, sua consorte, scomparsa prematuramente a 58 anni nel 1996 – che hanno esposto le proprie ricerche, gli approfondimenti scientifici, le riflessioni.
Al termine dell’incontro abbiamo sentito, per una valutazione complessiva, Chiara Vigini, presidente dell’Istituto regionale per la Cultura Istriano-fiumano-dalmata (IRCI), ente che l’ha organizzato, insieme con l’Università degli Studi di Trieste – Dipartimento di Studi umanistici (ricordiamo inoltre che il simposio si è svolto con il patrocinio del Comune e della Provincia di Trieste, della Regione Friuli Venezia Giulia, della Società italiana per lo Studio della Modernità Letteraria – MOD e dell’ADI – Associazione Docenti Italiani). È stata, questa, la terza tappa di un’iniziativa avviata in collaborazione con l’Università degli Studi di Trieste, che in precedenza aveva focalizzato l’attenzione su Pier Antonio Quarantotti Gambini e Gianni Stuparich.
“Mi pare molto positivo – ci dice Chiara Vigini, tracciando un bilancio –. Si è verificata una partecipazione straordinaria, forse addirittura superiore alle aspettative, e ciò non solo di specialisti, ma anche di persone per così dire comuni, di non addetti ai lavori, e questo perché la letteratura ‘prende’ tutti i campi della vita. Per molti studiosi è stato un approfondimento, in quanto prima d’ora non avevano avuto occasione di occuparsi delle tematiche dell’esodo e della letteratura dell’esodo. Ecco, questo mi sembra che sia un esito molto soddisfacente anche per l’IRCI, che ha nel proprio Statuto non solo l’obiettivo di approfondire, di parlare, di conservare la memoria, ma anche di farla fermentare, di svilupparla. E questo è stato fatto in queste due giornate”.
Il convegno ha visto il concorso soprattutto di docenti universitari; è stato, in un certo senso, molto “accademico” e, volendo fare una nota critica, si potrebbe dire che è stato forse un po’ autoreferenziale. Non pensa che estendendolo anche ad altre realtà si sarebbe potuto avere un panorama più completo? Mi riferisco alle diverse associazioni degli esuli e alla stessa EDIT, le cui pubblicazioni hanno trattato l’argomento, come pure lo hanno fatto gli autori dei rimasti, Nelida Milani Kruljac – di cui si è parlato in questi giorni –, Ester Sardoz Barlessi, Mario Schiavato, Claudio Ugussi, tanto per fare alcuni nomi.
“La collaborazione con i rimasti è uno dei miei desideri più grandi. Devo dire che questo convegno me lo sono trovato in eredità, come un regalo già bell’impacchettato e io non ho fatto altro che scartarlo. Però il mio sentire è più aperto, forse se avessi dovuto decidere io fin dall’inizio, l’avrei organizzato in altra maniera. Capisco però che è necessario parlarne e far parlare di questi argomenti in ambito accademico, che ha una dinamica e una rilevanza diverse. Credo che ci siano due binari che hanno bisogno entrambi di essere un po’ oliati”.
Sono giunti relatori da tutta Italia e da molte parti del mondo, dall’Europa, dagli Stati Uniti d’America, dall’Africa… Ma in quale misura c’è, in città, la percezione dell’importanza delle questioni trattate? Le letteratura dell’esodo è capita a Trieste?
“Penso di no. Ma ritengo che Trieste sia un luogo molto particolare, perché l’emotività è ancora molto forte e non si parla molto volentieri dell’esodo, o meglio non è ancora ben chiaro se parlare di esodo, di Istria, di Fiume e di Dalmazia significhi schierarsi politicamente. E credo che, in qualche ambiente, sia ancora proprio così”.
“In questi giorni però si stanno realizzando diverse iniziative, tra cui, per il secondo anno a Trieste, il seminario nazionale per docenti delle scuole italiane sul confine orientale. L’interesse è sempre più vasto, e quest’anno ci saranno pure gli editori scolastici, il che significa far entrare l’esodo, ma anche la cultura istriano-fiumano-dalmata nelle scuole. Il che è un obiettivo molto importante, perché quando si riesce a coinvolgere i giovani è come avere una garanzia del mantenimento della memoria, ma pure della cultura giuliano-dalmata, ed è anche una garanzia per continuare a riallacciare e incrementare con gli italiani che vivono adesso in queste terre, in Istria, a Fiume e in Dalmazia. E mi pare che ciò sia basilare in un momento come questo in cui, con l’ingresso anche della Croazia nell’Unione Europea, si sta ricomponendo l’unità dell’Adriatico”.
“Tra l’altro, mi è parso molto interessante che in questo convegno alcuni relatori abbiamo parlato di come anche la letteratura croata si sia soffermata sull’esodo (lo ha fatto Marija Mitrovic, citando le opere di Vladan Desnica, Antun Šoljan, Ivan Katušić e il romanzo “Esercitazione alla vita” di Nedjeljko Fabrio, ndr). Mi è parsa una grande apertura, un riconoscimento delle varie componenti di questa nostra società, di questo ambiente che è molto complesso e non si piò negare questa complessità, perché altrimenti la si svilisce. E invece questa è la nostra ricchezza e la nostra forza”.
Ilaria Rocchi
“la Voce del Popolo” 4 marzo 2013