ANVGD_cover-post-no-img

Per allenare in Slovenia serve il diploma in lingua (Il Piccolo 28 nov)

LETTERE

Slovenia: allenatori stranieri, no grazie. A 15 anni dalla sentenza Bosmann, l’attuale vincolo alla libera circolazione degli allenatori in Slovenia è la lingua. La federcalcio slovena ha recentemente cassato la richiesta di tesseramento del FC Koper di un allenatore italiano poiché privo del diploma di sloveno di livello medio rilasciato da una competente struttura slovena, nonostante l’allenatore avesse ottenuto il diploma di sloveno per stranieri all’Università popolare di Capodistria e parlasse correttamente l’inglese. Se la federazione sportiva ha vietato il tesseramento degli allenatori stranieri privi di tale requisito, il ministero dello sport sloveno ne sconfessa invece l’obbligatorietà, ammettendo che il requisito della lingua è solamente preferibile. Questo, in virtù di una legge slovena del 1998, che permette di lavorare nell’area sportiva in Slovenia alle stesse condizioni del paese di provenienza del cittadino straniero. Ed il settore tecnico della federcalcio italiana non richiede agli allenatori stranieri, per essere tesserati nei club italiani, alcun diploma di lingua italiana rilasciato in Italia. Inoltre, come ammesso dallo stesso ministero dello sport sloveno, i rapporti di collaborazione possono essere trattati autonomamente, nei requisiti, tra il club interessato e l’allenatore anche straniero da questo selezionato. Anche la federcalcio della Croazia, stato confinante con la Slovenia ma non appartenente all’Unione Europea, è allineata su questi principi. Per la Comunità Europea, alla quale la Slovenia appartiene dal 2004, la richiesta di conoscenza del livello medio della lingua, è esagerata: i requisiti linguistici non devono superare quanto oggettivamente necessario per l’esercizio della professione in questione. A questo si aggiunga che a Capodistria, ufficialmente c’è il bilinguismo: la lingua italiana è per legge la seconda lingua ufficiale, anche in virtù di una comunità di minoranza italiana ed i ragazzi parlano l’inglese e conoscono l’italiano. Parlare la lingua del paese ospitante rientra nell’umiltà e nella curiosità dell’insegnante, fa parte della formazione della coscienza e della conoscenza, propria e altrui, obbligo morale. Discriminante è imporla come requisito ostativo. Protezionismo e nazionalismo sono vocaboli che nulla hanno a che fare con lo sport, ponendo inesorabili barriere divisorie. Sport inteso come competizione e libera concorrenza, anche nella cultura e nell’insegnamento da parte degli allenatori stranieri, a vantaggio degli utenti sportivi, in grado di sperimentare metodologie e culture diverse. Magari apprendendo o semplicemente migliorando, sul rettangolo di un campo di gioco, una lingua straniera che potrà ritornare utile nella vita. Così vicini, così lontani, potremmo dire…

Roberto Alessio

0 Condivisioni

Scopri i nostri Podcast

Scopri le storie dei grandi campioni Giuliano Dalmati e le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico attraverso i nostri podcast.