Il prof. Elio Varutti, componente dell’Esecutivo del Comitato provinciale dell’Anvgd di Udine, ha inviato alla testata Friulionline il seguente articolo.
Si parla poco della strage di Vergarolla. Pola, già provincia italiana dell’Istria, col 10 giugno 1945 è un’enclave sorvegliata dai militari inglesi, dopo l’occupazione titina di 40 giorni, durante la quale scompaiono 950 italiani e solo 42 fanno ritorno vivi. Sulla spiaggia della città portuale istriana, affollata per la popolare manifestazione di nuoto della società “Pietas Julia”, il 18 agosto 1946, si verifica lo scoppio di un grosso arsenale di esplosivo uccidendo un centinaio di italiani. Sono 64 i corpi riconosciuti e segnati sulle lapidi commemorative della orrenda strage.
Presto la responsabilità dell’accaduto fu attribuita agli jugoslavi, per pulizia etnica, anche se qualche storico dissente. Di fatto, dopo l’attentato e in seguito all’iniquo Trattato di Pace del 10 febbraio 1947, c’è un grande esodo per paura. A Pola 28.500 persone su 32 mila abitanti abbandonano la città, che viene meglio annessa dagli slavi, come ha ricordato il polesano Sergio Satti, classe 1934, decano dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (Anvgd), Comitato Provinciale di Udine.
“Io ero un bambino di 11 anni – ha detto Claudio Bronzin, nato a Pola nel 1935 – e mi sono salvato perché stavo seduto sul pontile della Pietas Julia, a circa 80 metri dal punto dell’esplosione; ho sentito un colpo secco dell’innesco, il boato e poi ho visto salire la colonna di fumo a forma di fungo. L’arsenale a cielo aperto era costituito da 28 cariche esplosive antisommergibile, 2 teste di siluro e 2 bombe fumogene. Era tutto ben disinnescato e accatastato sulla riva a circa 20-30 metri dal molo in pietra. Solo 2 o 3 delle cariche esplosive, ossia dei cilindri lunghi m. 1,5 erano fuori catasta. Era stata mia zia a vedere qualche giorno prima un tizio, un fiumano stendere un filo elettrico dall’arsenale a cielo aperto fino a una cava lì vicina. In effetti, come ricordava Bepi Nider, il poeta istriano, lui con un ufficiale inglese qualche giorno dopo l’esplosione trovarono il filo che andava alla cava, con un sistema di innesco simile a quello usato nella miniera di Arsia”.
Nel 2008, desecretati gli archivi di Londra, si sa che l’artificiere che tira quel filo è il fiumano Giuseppe Kovacich, agente dell’Ozna, il sevizio segreto titino.
– Signor Bronzin tutta la sua famiglia era lì il giorno dell’attentato?
“C’erano tre famiglie Bronzin quel primo pomeriggio – ha risposto – nello scoppio è morta mia zia Francesca, di 41 anni, sono rimaste ferite gravemente le zie Rosmunda, detta Unda, e Gina, operate e salvate in ospedale dal dottor Geppino Micheletti. Un mio cuginetto, Mario Trani, di 3 anni, era scomparso, ma l’abbiamo trovato giorni dopo perché era stato accolto da una famiglia, non parlava e non ricordava nulla, oggi abita vicino a casa mia”.
– Quando venite via da Pola e con quali mezzi?
“Succede a febbraio del 1947 con la motonave ‘Pola’ – ha precisato il testimone – oltre alla celebre motonave ‘Toscana’ che sbarcava migliaia di persone a Venezia e ad Ancona, c’era pure la motonave ‘Grado’; la mia famiglia va in un Centro raccolta profughi di Trieste, gestito dagli americani, poi siamo finiti esuli a Firenze”.
– Che cosa le resta di quel giorno a Vergarolla? Fu solo realpolitik a mettere tutto a tacere e assistere ancor oggi al tiramolla degli storici?
“Mi resta il fatto che non è mai stato effettuato un processo – ha concluso Bronzin – perché gli inglesi avevano tutto l’interesse che Tito abbandonasse Stalin e quindi non lo si doveva disturbare; mia zia fu interrogata più volte dai militari Usa, ma non so che fine hanno fatto quei verbali. Poi, come mai l’esplosione è avvenuta poco dopo che si era allontanata l’unica squadra di nuoto filo-jugoslava, con la ‘Rossa Volante’, una nuotatrice che vinceva tutto e che abitava al rione Baracche a Pola?”.
Elio Varutti
Fonte: Friulionline – 30/10/2022