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Pisapia e la rilettura delle Foibe

Dice il presidente Giorgio Napolitano che presto salirà sui prati del Friuli per ricordare un eccidio a lungo coperto, dissimulato, rimosso, infangato perché gettava una macchia di sangue sulla narrazione egemonica che ci hanno imposto della guerra di Liberazione. Se cerca la riconciliazione nella verità, forse farà bene ad andare prima a Milano a sentire che cosa di altrettanto dissimulato, rimosso, infangato e infame i rappresentanti dell’Anpi, l’associazione dei partigiani custode di quella egemonia, hanno ancora la faccia tosta di scrivere su quell’eccidio, e sappia che a coprire le loro schifezze messe nero su bianco e distribuite al pubblico c’è il timbro del Comune di Milano, c’è la firma del sindaco Giuliano Pisapia. Dal testo distribuito dall’Anpi: «Le foibe e l’esodo sono momenti tragici della recente storia dell’Italia fascista e post fascista. Politicamente questo argomento è stato usato per la battaglia anticomunista, per addossare al comunismo le colpe che non ha avuto, per assolvere il fascismo dall’aver procurato i mali del ventesimo secolo e aver causato la seconda guerra mondiale». Scopo dell’opuscolo è: «Evitare che la realtà sia distorta», e che « si possa finalmente riconoscere come le Foibe siano state un effetto e non la causa dell’oppressione italiana esercitata in quelle terre». Un’ultima citazione. «Il rancore e l’odio accumulati da sloveni e croati per la criminale oppressione fascista può spiegare i comportamenti degli jugoslavi nei confronti della popolazione italiana che veniva identificata in blocco come nemico storico del nazionalismo sloveno e croato».

 

Non sono una fanatica delle celebrazioni storiche stiracchiate nel tempo, non credo che giornate della Memoria o del Ricordo cambino la percezione che un Paese ha della propria storia se quella storia non viene insegnata a scuola e in famiglia fin dall’infanzia, se tanti anni passano nell’ignoranza e nell’ambiguità, ma che oggi, nel 2012, ci sia ancora qualcuno che esercita pratica di negazione delle foibe, qualcuno che tenta di attribuirne la responsabilità ai fascisti, che di loro ne hanno già a tonnellate, qualcuno che pur di non riconoscere i misfatti del comunismo, propala bugie acclarate, fa impressione. Fosse successo l’opposto, ovvero una esaltazione del fascismo con timbro comunale, le richieste di dimissioni ci inonderebbero. Ma in Italia, nel 2012, la città più importante dopo la Capitale è governata da un sindaco che si dichiara serenamente comunista, i comunisti sconfiggono allegramente nelle primarie per nuovi candidati gli esponenti del Partito Democratico a Genova. Qui la storia non abita, pure tacere proprio non si può.

 

Solo il 43 per cento degli italiani sa cosa siano le foibe. Pochi, anche se per fortuna la percentuale è in aumento: più tre punti rispetto al 2008. Ancora più bassa è la percezione sul significato dell’Esodo giuliano-dalmata, la diaspora che si verificò al termine della Seconda Guerra Mondiale dall’Istria, dal Quarnaro e dalla Dalmazia da parte della maggioranza dei cittadini di lingua italiana e di coloro che diffidavano del nuovo governo jugoslavo, in seguito all’occupazione dell’Armata Popolare di Liberazione del maresciallo Josip Broz Tito: ne sa qualcosa il 22 per cento degli italiani. Lo ha rilevato, mercoledì 1 febbraio, un sondaggio compiuto dalla Società Ferrari Nasi & Associati, commissionato dall’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia.

 

Le foibe sono cavità carsiche di origine naturale con un ingresso a strapiombo. In quelle voragini dell’Istria fra il 1943 e il 1947 vengono buttati, vivi e morti, quasi diecimila italiani. La prima ondata di violenza esplode subito dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani slavi si vendicano contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Torturano, massacrano, affamano e gettano nelle foibe circa un migliaio di persone condannate come «nemici del popolo». La violenza peggiora nella primavera del 1945, quando la Jugoslavia occupa Trieste, Gorizia e l’Istria. Le truppe del Maresciallo Tito si scatenano contro gli italiani. A cadere dentro le foibe ci sono fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, sacerdoti, donne, anziani e bambini. Nel caso di Porzûs, dove Napolitano intende andare in primavera, la storia è se possibile più agghiacciante. La Resistenza si divise in quella zona di confine: il gruppo legato ai comunisti sloveni, ovvero i comunisti italiani, l’altro rappresentato da uomini delle forze democratiche, laiche, socialiste e cattoliche confluite nel Comitato di Liberazione nazionale.

 

I primi eseguivano gli ordini dei compagni titini, e il loro capo, Mario Toffanin, il comandante «Giacca» ordinò l’attacco contro i partigiani bianchi acquartierati nelle malghe. Li sterminarono come nemici. Tra loro c’erano Guido Pasolini, fratello di Pier Paolo, e Francesco De Gregori, zio e omonimo del cantautore. «Giacca», condannato all’ergastolo per crimini di guerra, fuggì in Jugoslavia e Cecoslovacchia, prima d’essere graziato da Sandro Pertini. Non si pentì mai, proprio come non è pentito, in folta compagnia, l’esponente dell’Anpi e autore del libercolo sulle foibe distribuito in questi giorni a Milano, Enrico Wieser.

 

Maria Giovanna Maglie su “Libero” del 19 febbraio 2012

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