Quando, anni fa, si stava profilando per me il giorno di andare in pensione per raggiunti limiti di età, mia moglie ed io decidemmo, senza indugi e di comune accordo, che saremmo andati a vivere in campagna. Questa, per molte e diverse ragioni, non poteva essere che Ponte di Piave,dolce paese. Sulla riva sinistra del fiume, nel parco della villa che si affaccia sulla Postumia, io avevo passato gran parte del tempo felice della giovinezza. Tra i vigneti, i campi di grano e di spagna, le galline che razzolavano sull'erba grassa del brolo, i cavalli del nonno che nitrivano nella scuderia sotto la barchessa, le anatre che starnazzavano nell'acqua lenta della Fossabruna, l'odore del vino, quello delle granaglie e del foraggio Era il mio nido. Si aggiravano in paese le donne, al sabato mattina, scuriosando tra le bancarelle del mercato, sedevano in osteria gli uomini chiacchierando con la pigrizia che precede la festa. La domenica s'alzava gioioso il suono delle campane che annunciava la messa prima.
Il corso della mia vita era già segnato, quasi un obbligo ai ricordi dai quali non sapevo e non volevo liberarmi: sarei andato in campagna, dove giace sepolta la mia età più bella, dove la primavera si annuncia con la tenerezza dei germogli, l'estate porta gli umori della terra, odora di mosto l'aria d'autunno e l'inverno modula il vento, tra i solchi ghiacciati. Forse era l'avidità o forse l'illusione di ritornare sulle vestigia familiari. Non occorreva dunque una sonnambula dotata di straordinari poteri per predire il mio destino: doveva essere sulla riva sinistra del Piave. Laddove, verso la metà dell'800, si era insediato il mio trisavolo di nome Pietro Tommaseo Ponzetta che veniva dalla Dalmazia e membro di una famiglia da sempre legata alla Serenissima Repubblica. Egli era arrivato per mare a Venezia, quando la città soffriva ancora sotto il dominio austriaco. Uomo concreto e grande patriarca, padre di ben quattordici figli, il trisnonno era nato a Postire nell'isola della Brazza, dove aveva amministrato con saggezza le proprietà terriere della famiglia coltivate a vigneti e ulivi che, trasformati in vino ed olio, venivano commerciati in tutta la zona adriatica. Trasferitosi a Venezia con quasi tutta la numerosa famiglia (due figlie si erano fatte suore e due figli preti), e lasciato un figlio in Dalmazia a curare gli interessi di casa nella terra avita, il trisavolo Pietro passò il resto della sua vita tra la città lagunare e le sue campagne, acquisite intorno al Piave con le residenze di Salgareda e di Ponte, alle quali fu sempre legatissimo. Mio nonno, suo nipote, che ne portava il nome, Pietro, ricorrente in famiglia e, si diceva, gli assomigliasse anche nei caratteri comportamentali, di assoluta originalità, mi parlava spesso di lui e mi ricordava, biasimando il mio stupore, che gli si rivolgeva dandogli del lei.
Verso la prima metà dell'800, in Dalmazia, un Tommaseo sposa una Ponzetta. Lui ha il blasone, lei i soldi, si spettegola nella Brazza, dove la famiglia Tommaseo nel 1370 , con Bolla del Doge Valier, era stata iscritta al Consiglio Nobile dell'isola. Una storia già vista, per esempio nel GATTOPARDO , scrive Alessandro Marzo Magno, giornalista e scrittore veneziano, nel suo libro IL LEONE DI LISSA, viaggio in Dalmazia. Sembra peraltro che, in famiglia, quel matrimonio con la Ponzetta non fosse piaciuto granchè, ma sta di fatto che più tardi le due famiglie, estintasi quella dei Ponzetta, alla parentela e al patrimonio, uniranno anche i cognomi. Viveva in quel tempo a Venezia anche Niccolò Tommaseo, sommo letterato e filologo, appartenente al ramo familiare di Sebenico. Nel 1848, capeggiando la rivolta popolare contro l'Austria, fondò con Daniele Manin ed altri intellettuali, la Repubblica di Venezia ricoprendo la carica di Ministro dell'Istruzione nel Governo provvisorio. Cane sciolto e piuttosto squattrinato, Niccolò fu sempre un esempio impareggiabile di non conformismo e di libertà individuale. Grande studioso e di temperamento ombroso, egli aveva preso le distanze dagli eredi del ceppo originario, più dediti alle professioni e agli affari che alle lettere. Nel suo DIARIO INTIMO (Einaudi,1946) si legge infatti: Viene il Tommaseo, erede del ricco Ponzetta: io gli rendo la visita. S'egli non veniva io non sarei andato da lui. Ad altri la ricchezza fa le parentele più strette, nel mio cuore le allenta. Di ben altra levatura erano gli interessi che coltivava il sebenese e ben altre le sue frequentazioni: era amico di Antonio Rosmini, discettava di filologia con Alessandro Manzoni, polemizzava, non sempre signorilmente, con un certo Giacomo Leopardi di Recanati. In quel tempo, al chiarore della lampada a petrolio, il Tommaseo stava lavorando al commento della Divina Commedia e riordinando il Nuovo Dizionario dei sinonimi della lingua italiana. Non nuotava nell'oro Niccolò e, alieno dagli affari e dai matrimoni di convenienza, sposerà una povera vedova, Diamante Pavanello, che avrà molta cura di lui, gli darà una figlia, Caterina, che prenderà il velo e un figlio, Girolamo, che non avrà discendenza. Diamante precederà Niccolò di un anno (1873) nella tomba del cimitero di Settignano, morendo di colera.
Nel ricordo di questo caleidoscopico album familiare, la mia vita sarebbe stata pertanto destinata a consumarsi tra Venezia e Ponte, tra terra e laguna. Era scritto! Come era scritto che la dimora di Ponte, appartenuta al trisavolo Pietro, dopo la morte di nostro nonno e di nostro padre, continuasse ad essere abitata, guarda caso, da un altro Pietro, il mio fratello maggiore, spirito strambasso, come lo definì Goffredo Parise che gli fu amico e che nel SILLABARIO n.1 gli dedicò, con affetto, il racconto Paternità. Forse in parte anche attratto da un nome che gli evocava carte, libri e dizionari, l'autore dei SILLABARI frequentò molto la nostra casa di Ponte di Piave, durante la sua lunga permanenza tra Salgareda e Ponte. Nella vostra famiglia mi sento al caldo, mi scrisse un giorno da Roma, e alla lettera F del SILLABARIO n.1 vi dedicherà il racconto Famiglia ( UN GIORNO, ANNI FA, UN UOMO CHE NON AVEVA MAI NESSUNO CHE GIRAVA PER CASA CONOBBE UNA FAMIGLIA DI NOME TOMMASEO… ). Anche Parise amava Ponte; il 10 maggio 1976 mi scriveva: sono, malmostoso, a Roma. Ho nostalgia del Piave e della nostra terra. Dopo l'infarto che lo colpì nel 1979, mi scrisse sempre da Roma : Il mio cuore anche se ferito è con voi, dillo a tutti, è con voi e l'habitat di Ponte e del Veneto, che per noi veneti (tu lo sai) se manca, guai!. Una cosa già letta, per esempio, nel Diario (1951-1964) di Giovanni Comisso, dove, in data 24 aprile 1955, l'Autore de La mia casa di campagna ( a proposito! ) scriveva: A Parise ò detto mostrando il cielo che diradava le nubi leggere, tra le colline di Onigo e i ghiaioni del Piave: vedi, la nostra narrativa è legata a questi cieli veneti e a questi paesaggi. Come avevano ragione, quei due!
Tommaso Tommaseo