Vi confesso, cari lettori, che il compito che mi prefiggo settimanalmente di presentare i punti salienti delle conferenze, in questa occasione, mi è arduo, in quanto i temi trattati sono temi per i quali non ho grande dimistichezza. Sono stato, però, incoraggiato da una frase e da un proposito dello stesso curatore dell’opera, il Prof. Mauro Sambi.
Infatti, all’inizio della sua relazione, Sambi ha affermato “di essere spinto da una motivazione personale, ossia la salvaguardia di un mondo ancora vivo, quello degli esuli, ma in pericolo di sparizione”, che richiede ad ognuno di noi uno sforzo che prescinda dalle proprie competenze e si armi di buona volontà. Mi sono sentito chiamato in causa ed incoraggiato a spingermi in un campo in parte, per me, inesplorato.
Ritorno al Prof. Sambi, professore ordinario di chimica all’Università di Padova, che, nonostante l’austera materia scientifica- il suo quotidiano lavoro-, esplora l’uomo nel suo intimo, indotto senz’altro da vicende personali di vita vissuta.
E per una miglior comprensione da parte dell’uditorio, il relatore ha iniziato parlando della sua vita, dei suoi studi, della dicotomia fra due mondi, quello del “pane”, (che gli assicurava l’indipendenza economica) e quello delle “radici “che, come afferma Nelida Milani, ha una particolare potenza attrattiva, alla quale è difficile sottrarsi.
Mauro Sambi, a Pola, sua città natale, apparteneva a una famiglia di lingua e tradizioni italiane, in cui dominava la figura del nonno, di salde convinzioni: una famiglia rimasta unita, malgrado le vicissitudini dell’esodo. In casa si parlava del passato, che, per il relatore, dipingeva un mondo ideale, che non era quello in cui egli viveva, ma dal quale traeva la sua sicurezza interiore. Esso contrastava con il mondo reale, il mondo della scuola e quello imposto dal regime jugoslavo, caratterizzati da una “pesantezza greve della vita pubblica”, una “retorica stantia e aggressiva”, con riti da rispettare, a cui nessuno credeva più. Sambi ha ammesso di dover ringraziare alcuni insegnanti della Scuola Italiana, che hanno sempre opposto alle idee del regime un’efficace resistenza, che ha preservato l’integrità identitaria degli studenti.
Lo studio all’Università di Padova, la laurea, il dottorato, il matrimonio hanno cambiato il suo progetto di vita, ancorandolo alla terra veneta. Ma, ….
Avendo avuto modo di leggere l’Arena di Pola, si era reso conto della frattura che era avvenuta nella sua gente con l’esodo, frattura che sentiva presente, anche se metabolizzata, nella sua anima. Da ciò il bisogno di scrivere, di esprimersi in versi, di accomunare all’interesse per la scienza la comprensione umana.
Come conciliare chimica e scrittura, ossia attività scientifica e impegno letterario? C’è qualche possibile interrelazione?
Una possibile risposta a questo interrogativo ci viene dato -dice Sambi- da Saint Exupery, che nel Piccolo Principe sentenzia:
“L’essenziale è invisibile agli occhi: il mondo atomico e molecolare in chimica, e la verità, la bellezza, il bene nella scrittura, degna se oltre il reale si sforza di vedere il vero”.
“E se c’è una persona che si sforza di mettere in pratica questo principio nello scrivere, e a cui devo la mia ispirazione, questa è Nelida Milani”
L’ampia parentesi iniziale, voluta dal relatore per illustrare la figura della scrittrice, ci introduce al tema centrale della conferenza.
Nell’infanzia Mauro ha conosciuto Nelida Milani, grazie alle frequenti visite ai suoi nonni, che per Mauro rappresentavano il mondo attorno al quale ruotava la sua esistenza. Da studente, Sambi annota: “Ci siam sempre scritti, in una fitta corrispondenza: io le inviavo i miei temi di italiano, lei mi incoraggiava e li pubblicava sui giornale della scuola”.
In una lettera dell’ottobre 2005, si apprende che Nelida frequentava casa Sambi nella quale attingeva molti libri, anche prima della nascita di Mauro. Mentre la sua vita si svolgeva tra l’osteria della nonna e la stalla dei maiali, da quei libri Nelida derivò quei principi che ne formarono la morale, una morale che non traeva fondamento necessariamente dalla tradizionale educazione impartitale dalla nonna, ma coniugava la ribellione contro “l’opacità del quotidiano, proclamando l’affermazione del meraviglioso, il dolce navigare in un mare di stelle”.
“In questa consuetudine di famiglia e di libri che mi precedeva è nata l’influenza di Nelida Milani su di me” – annota ed ammette Mauro Sambi. “Ai tempi della scuola devo a lei il mio tirocinio di scrittore, il senso dell’importanza della parola esatta, dell’espressione compiuta, della bellezza risplendente dalla verità, anche se è una verità sognata, desiderata, rimpianta, o maledetta per la sua assenza, i suoi tradimenti”. “Nelida ha esercitato un profondo influsso su di me, per non dire sui molti, che la attorniarono nel mantenere viva la comunità italiana in quegli anni difficili”.
Come nasce l’improvviso amore di Giuseppe Cantele, fondatore e direttore della Ronzani, per l’Istria e le sue realtà? Nel 2018, in occasione della presentazione ad una Comunità degli Italiani di un libro di versi di Sambi “Qui e altrove”, edito da Ronzani, e dai conseguenti incontri a Pola e Buie. L’affettuoso interesse lo ha confermato anche nelle parole del suo intervento in conferenza. Scaturì, così, la volontà di far conoscere nella penisola le opere letterarie più significative della letteratura istriana, e si cominciò con Nelida Milani, la cui allocuzione alla Comunità degli Italiani di Pola aveva destato attenta curiosità. Si cominciò con l’edizione del volume di racconti, ma anche saggio letterario “Di Sole, di vento e di mare” nel 2019, si continuò con la trilogia “Cronaca delle Baracche”, una risistemazione dei suoi racconti con alcune opere inedite. Tutte le opere sono state accolte nella collana Vento Veneto, che accomuna opere della letteratura veneta, caratterizzate da un respiro sovranazionale. Un successo per cui si è alla seconda ristampa.
I lavori della Milani sono stati accolti con grande favore dalla critica; a conferma, Sambi cita il giudizio positivo del poeta, filosofo Bruno Nacci, critico di scrittori come Slataper, Stuparich, Quarantotti Gambini, Marin, Voghera, Tomizza, sostenendo che rappresentano non un fenomeno letterario, ma le coscienze maturate nella parte in ombra dell’Europa: in essi si ritrova…
…” una lingua intrisa di colori dialettali, che sono l’anima stessa del popolo che vive, e che nel lavoro, nell’amore, nel dolore crea passioni destinate a saldare le generazioni, a spalmarne i cuori e le menti, estraneo a ogni scuola e ufficialità…. la lingua come resistenza, difesa ultima, speranza”
Fino a qui il parere di Bruno Nacci.
Ma quale il valore della scrittura della Milani? Che cosa ha portato nella letteratura del Confine Orientale?
La novità e la forza stanno nella sua inventività linguistica, ossia nell’invenzione di una lingua, nel mettere a frutto le sue capacità professionali, sociolinguistiche.
Nei suoi lavori si dà forma a una “folla di personaggi, che creano un microcosmo disorientato e sghembo dell’Istria, in cui i toni si susseguono come refoli di bora” …” E dove “si porta un’indecisione perenne ad essere una cosa sola”. La base dell’italiano standard viene contaminato dal dialetto, l’istroveneto, il ciacavo, che restituiscono le gerarchie linguistiche, il tessuto delle gerarchie politiche e sociali di quei momenti e di quei territori.
Ma non basta… il nucleo più autentico dell’opera è nell’equanimità, quella di chi narra.
Nel libro “Di sole di vento e di mare”, nel cui racconto centrale (lungo) viene descritto il bombardamento di Pola, si cita Simone Weil, che nel suo saggio sull’Iliade allude alla distruzione di una città come alla massima delle sventure che possano capitare agli uomini…Vincitori e vinti sono in queste vicende egualmente prossimi…
Il relatore a questo punto amplia la sua esposizione, concludendo:
“E qui risiede l’universalità della scrittura della Milani. Basandosi su un’esperienza personale assurge a dramma comune a tanti…”
Passando al commento di “Cronaca delle Baracche”, Sambi spiega che le baracche si riferiscono al nome con cui si contrassegna il quartiere operaio di Pola, creato dagli austriaci per ospitare le maestranze del cantiere navale e della fabbrica tabacchi. Lì ha vissuto, nell’osteria della Parenzana, tenuta dalla nonna Gigia, e là vive tuttora Nelida Milani. Il primo volume è incentrato su quell’ambiente e tratta i personaggi del tempo che lo popolavano; nel secondo la scrittrice parla dei reduci della più recente guerra in Jugoslavia, rifugiatisi in Istria, descrivendone le condizioni; nel terzo si parla della situazione degli italiani rimasti in Istria, la psicologia intima, il dissidio perenne fra identità e conformità, la natura bifronte mai risolta, lotta fra oblio e ricordo.
A fine relazione ci sono alcune belle sorprese, che invito il lettore a scoprire direttamente guardando la videoconferenza sul canale YouTube del Comitato provinciale di Milano dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia.
Claudio Fragiacomo