Vienna, 11 luglio. Luigi Cherubini e Riccardo Muti sono riusciti a fare ciò che i politici ed i diplomatici di tre paesi non sono riusciti in nove anni di intensi sforzi: oggi, martedì, si incontreranno per la prima volta i presidenti di Italia, Croazia e Slovenia in occasione di un gesto di simbolica riconciliazione a Trieste. Il Maestro ha invitato Giorgio Napolitano, Ivo Josi¬povic e Danilo Türk al concerto che si terrà in Piazza dell'Unità d'Italia, con al centro dell'attenzione il Requiem in do minore quale omaggio al compositore fiorentino, nel 250° anniversario della nascita, accompagnato dalla cornice musicale del compositore croato Jakov Gotovac („Inno alla libertà") e dello sloveno Andrej Misson („Liberias animi").
Dal 1997, Riccardo Muti sceglie ogni anno, per il suo festival della musica itinerante "Le vie dell'amicizia", una città diversa. Il festival si è tenuto a Beirut, a Damasco ed a Gerusalemme, ad Erevan ed a Istambul: l'ultima volta, a luglio del 2009, il concerto si è tenuto a Sarajevo in occasione del giorno commemorativo del massacro di Srebrenica. Vero è che Trieste ormai non è più una zona di crisi, ma rimane pur sempre un luogo della non-conciliazione. Sulla costa orientale dell’Adriatico le ferite provocate da nazionalismo, fascismo, nazionalsocialismo e comunismo, non si rimarginano.
Nella memoria storica degli Italiani, Trieste è la città sul fronte contro l’Asburgo e la cultura slava. Ma la città porta impresso anche il ricordo del dominio del terrore che l'occupazione dei partigiani jugoslavi portò con se il 2 maggio 1945. Per quaranta giorni si scatenò il terrore rosso, che provocò quattromilacinquecento vittime nella cittadinanza. Dopo il ritiro dei partigiani, sopra la città, da una cavità carsica vicino alla frazione di Basovizza, si estrassero duemilacinquecento corpi. Nove anni dopo, il 26 ottobre del 1954, Trieste fu assegnata nuovamente all'Italia, ma in tale occasione anche la speranza di trecentocinquantamila profughi e esiliati fu sepolta, era la speranza di quelli che volevano ritornare in Istria ed in Dalmazia.
Sull’intonaco ormai sfaldato delle vecchie case dell'Istria slovena e croata si intravede ancora qui e là lo slogan „Trst je nas/Trieste è nostra!" con il quale il comunismo jugoslavo mostrava l’ambizione degli slavi del sud. Prima della Grande Guerra solo un triestino ogni quattro era di etnia slovena, ma la popolazione slava era in costante crescita ed i comuni attorno alla città erano da sempre abitati dalla maggioranza slovena. Il delineamento dei confini, generato dai trattati di Parigi, deluse gli slavi del sud come e non meno di tedeschi ed ungheresi. A quel tempo s’impose l’omogeneizzazione nazionale, migliaia di sloveni e croati vennero cacciati dall’Italia e migliaia di Italiani dalle città veneziane della Dalmazia, ceduta alla Jugoslavia.
Da questa e dall’altra parte dei nuovi confini la delusione causata dal mancato rispetto delle promesse delle potenze vincitrici sfociò in atti di violenza contro la minoranze. Dopo l'11 luglio 1920, in occasione degli atti di violenza dei nazionalisti slavi di Spalato in cui morirono due Italiani, i fascisti a Trieste diedero fuoco – due giorni dopo – all’hotel “Balkan”, impedendo che l'incendio fosse domato. L’edificio era il centro della vita culturale, politica ed economica degli Sloveni, le fiamme avevano distrutto anche l’archivio, che documentava la storia della presenza slava in città. Nella memoria storica slovena questo colpo indica l'inizio della violenta snazionalizzazione, perpetrata dal fascismo – alla fine – anche nei lager del Duce.
Negli anni passati, i molti tentativi di dipanare l’intrecciata matassa dei ricordi sono caduti nel nulla, anche se i rapporti tra l’Italia e i due paesi vicini della ex Jugoslavia sono altrimenti assolutamente buoni. L’opposizione più dura è stata portata avanti dal precedente presidente croato, Stjepan Mesic, che ha cercato di conservare il monopolio interpretativo titoistico della storia, respingendo ogni gesto di riconciliazione in quanto prematuro. Tre anni fa, l’ex comunista Mesic ha rinfacciato all’ex comunista Napolitano addirittura di essere apertamente razzista, storico-revisionista e revanscista politico, poiché questi ha condannato la resa dei conti sommaria e gli eccessi nazionalistici del dopoguerra jugoslavo. Ma Mesic non si è lasciato guidare dal risentimento anti-italiano: in modo coerente e sostanziale ha rifiutato anche qualsiasi gesto che ricordasse le vittime croate del terrore comunista.
Il nuovo presidente croato, Ivo Josipovic, ha assunto un atteggiamento completamente diverso, accogliendo senza esitazioni l’invito di Muti a Trieste. Josipovic è stato il primo presidente croato a stigmatizzare i delitti perpetrati nella Bosnia – Erzegovina in nome della nazione e, sempre quale primo cittadino croato, appena alcune settimane fa, ha deposto in Carinzia, a Bleiburg, e davanti ad un monumento sloveno, le corone per i soldati slavi meridionali e le loro famiglie che i Britannici nel 1945 consegnarono ai partigiani. Per tale azione è stato pubblicamente biasimato da Mesic.
Mentre Ivo Josipovic prende le distanze dai miti del comunismo e del nazionalismo croato, il presidente sloveno Danilo Türk li riprende e li pone al centro della sua politica della storia. Dall’assunzione delle sue funzioni tre anni fa, Türk alimenta un vento di restaurazione ideologica in tutta la Slovenia. Un ex direttore della polizia segreta comunista è stato insignito da Türk con un ordine al merito. Lo storico Joze Dezman, al contrario, è stato da poco licenziato quale direttore del Museo per la storia contemporanea di Lubiana per violazione delle norme di servizio. Sotto la sua guida il museo si è trasformato in un luogo vivo di confronto tra fascismo, nazionalsocialismo e comunismo in Slovenia. Questo dibattito deve essere soffocato e sostituito dalla cura dei miti comunisti e nazionalisti.
Türk si è preso molto tempo per rispondere all’invito a Trieste. Poi ha condizionato la sua partecipazione ad una condizione: sarebbe venuto a Trieste solo se tutti e tre i presidenti si fossero incontrati davanti all’hotel “Balkan” per commemorare l’incendio che fu appiccato esattamente novanta anni prima del giorno del concerto. Ovviamente, Riccardo Muti nella scelta della data non si è lasciato suggestionare da questa considerazione. A Trieste non volevano certo farsi dettare l’agenda dell'incontro da Lubiana. Subito è stata rilanciata una contro-richiesta, per cui i tre presidenti avrebbero dovuto fare visita anche alla foiba di Basovizza, il luogo simbolo dei massacri dei partigiani titoisti.
Poco è mancato che l’incontro saltasse, ma la settimana scorsa si è raggiunto un compromesso. Sulla via di ritorno dall’hotel „Balkan", i presidenti si tratterranno brevemente davanti al monumento che commemora l’esodo degli Italiani dall’Istria e dalla Dalmazia.