Quando arrivarono gli esuli nel Nord-Est d’Italia

La ricorrenza del Giorno del Ricordo è certamente una di quelle nazionali tra le più` discusse e difficili. Fa riferimento a fatti storici tragici e difficili della storia italiana recente, eppure le polemiche degli ultimi anni fanno segnalare persino la provocatoria richiesta di abolirlo. D`altro canto iniziative che aprono alla divulgazione e conoscenza dei fatti sono oramai regolari in molte parti d`Italia sia da parte delle associazioni degli esuli ma anche promosse dalle autorità scolastiche o cittadine, e con un certo sollievo si può notare che esse si svolgono in una sostanziale atmosfera di serenità e perfino rispettosa curiosità`. Non è strano ricordare tempi recentissimi nei quali era usuale richiedere un picchetto di carabinieri a garantire ordine e sicurezza di tutti i partecipanti.

Il NordEst e gli esuli

Il Veneto e tutto il Nord-Est, si presenta anche a questo proposito come un`area particolare: perché si tratta innanzitutto della madrepatria culturale delle aree della costa istriana e dalmata disseminate di leoni di San Marco risalenti al tempo della Serenissima; ma anche di territori dove figure come il trentino Cesare Battisti o il triestino Guglielmo Oberdan , accanto al capodistriano Nazario Sauro, testimoniano un` italianità sofferta e combattuta. Di “confine”, come spesso si dice.

Un’impostazione su parametri politici?

Lo spessore nazionale di questi personaggi non può che far riflettere sull’ostinazione di certi giovani storici che invece impostano la propria ricerca sugli esclusivi parametri politici, quelli per intenderci secondo i quali l`espulsione dei Giuliano-Dalmati dalle coste dell`Adriatico orientale, vada interpretata come logica conseguenza diretta delle responsabilità del Fascismo. In realtà la continuità culturale, persino dialettale, tra le due sponde dell`Adriatico, è un aspetto che merita la debita attenzione nell`interpretazione di tutta la vicenda, fino cioè all`arrivo degli esuli “in patria”.

Gli esuli e il Veneto

In altre parole , il comune sostrato culturale ha fatto si che l`inserimento degli esuli nel contesto veneto e veneziano abbia risentito in misura minore di un certo “sfasamento” culturale che seppure con ironia, venne ben rappresentato nel film di Mauro Bolognini Arrangiatevi del 1959.

I Tagliapietra

In realtà episodi controversi non sono mancati neppure qui, proprio a Venezia, la stessa dove il diffusissimo cognome “Tagliapietra” rinvia ad una antichissima professione che si sviluppò proprio per tagliare la durissima pietra d`Istria che è innegabilmente il materiale da costruzione prevalente nel nostro capoluogo, un tempo “capitale” della gloriosa Repubblica marinara.

Gigio Zanon

Il gondoliere Gigio Zanon con profonda umanità e sensibilità`, volle mettere per iscritto il ricordo di un arrivo disperato. Avvenuto sotto il controllo di un picchetto  non certo di militari, intenti a garantire. Forse che i profughi mantenessero un comportamento degno? Ecco cosa ci ha lasciato la memoria di un verace veneziano:

“Era finita la guerra da pochi mesi ed eravamo ancora occupati dagli Alleati. Vicino a casa mia c’era un ex convento di frati Teatini, di pertinenza della chiesa dei Tolentini, che era stato soppresso dalle famigerate leggi napoleoniche e adibito a caserma. Prima ci furono militari italiani di non so quale specialità, poi fu occupato dagli Inglesi. Davanti a questo ex-convento c’era uno spiazzo, che chiamavamo “campazzo” dove noi ragazzi della zona si andava a giocare. Allora abitavo in campo della Lana e la chiesa dei Tolentini era la mia parrocchia.

Un giorno, all’improvviso, gli Inglesi se ne andarono e si trasferirono in locali di pertinenza del porto. Perché, ci avevano detto, stavano per arrivare dei profughi e i locali dell’ex-convento servivano per loro. Inoltre gli Inglesi dovevano sorvegliare questi profughi, ma noi ragazzi non ne capivamo il motivo. Solo ci accorgemmo che nel nostro “campazzo” si erano installati gli stessi uomini con il bracciale rosso sulla manica. Che qualche mese prima scorrazzavano per Venezia a caccia di fascisti e di tedeschi.

Ci dissero che quelli che arrivavano erano gente non italiana, sciavi traditori che venivano lì sistemati in attesa di trasferirli in altri luoghi perché a Venezia non li volevano. Gli uomini col bracciale ci “consigliarono” anche di non trattare con loro nella maniera più assoluta. Perché era gente per nulla raccomandabile e che se ci avessero visto giocare o ‘parlare con qualche ragazzo avrebbero preso dei provvedimenti contro di noi…

Dopo qualche giorno gli esuli arrivarono

Dopo qualche giorno arrivarono. Erano donne, vecchi, ragazzi come noi, bambini piccoli, si portavano dietro dei sacchi e alcune valige. Era una fila interminabile. Saranno stati qualche centinaio. Una volta dentro, gli uomini dal bracciale rosso (che poi seppi che erano i partigiani della Garibaldi, sezione Ferretto) li accolsero con grida, sputi, spintoni, imprecazioni. Quindi chiusero le porte dell’ex-convento e rimasero fuori di guardia.”.

Il racconto prosegue a raccontare come Gigio e altri amici veneziani riuscirono a socializzare con i “terribili sciavi”. Una comunicazione che a dispetto di qualche differenza linguistica, non fu per nulla difficile. “Anche il modo di parlare era diverso dal nostro, seppure ci si capiva benissimo e le parole erano le stesse.” .

La testimonianza è stata raccolta da Vittorio Baroni, di origini dalmate, alla pagina web
https://margheraforever.org/2021/02/10/giorno-del-ricordo/amp/?fbclid=IwAR3DSedjSwlXZtKt1jayNSfGwRV08oUuY3-cK8W7gOLm9uLqI0936WtZRH8

Io figlia di esuli

Decenni sono passati. Venezia negli ultimi anni non ha mai mancato di ribadire la sua secolare natura di città aperta e accogliente, l’attivismo per rifugiati e migranti mobilita associazioni ed enti comunali attenti a continuare questa tradizione. Da figlia di un’esule rovignese che a Venezia si è sempre sentita a casa proprio per la somiglianza della città natale con la “Dominante” – a dispetto di qualche episodio pure non gradevole – penso che la narrazione di chi insiste ad invocare un’interpretazione meramente politica ad una storia  sì “di confine” ma sostanzialmente nazionale, suoni permeata di una retorica superata. Già sentita, tronfia e anche scientificamente deviante, non scevra da veri e propri errori.

Rispetto e civiltà

Senza risalto alcuno ad una koinè culturale adriatica ancora viva, ritornano, dopo settant`anni,  interpretazioni che non possono non avere ripercussioni sulla mutua percezione reciproca delle persone (“quei fascisti”) . E che finiscono a riesumare un atteggiamento di discriminazione. Neppure coerente a quel vanto di “civiltà” che è necessario proseguire a divulgare con coerenza e onestà intellettuale.

Silvia Zanlorenzi
Consigliere del comitato provinciale di Venezia dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, si occupa di Storia delle Relazioni Internazionali e Cooperazione Internazionale

Fonte: èNordEst – 14/02/2022

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