ANVGD_cover-post-no-img

Quando il dialetto veneto prese piede (Voce del Popolo 30 gen)

PARENZO – In merito all'origine dell'istro-veneto ebbi a scrivere dell'opuscolo-studio di Ferruccio Borri, dato alle stampe nel 1923 a Capodistria su "Pagine istriane". Questo glottologo, che si riferiva prettamente dell'uso del dialetto parentino, con delle note pubblicate sul periodico della "Famiglia Parentina" In "Strada Granda" a penna di Veniero Venier, è doveroso allargare la materia a tutta l'Istria. A tal proposito di grande aiuto è la pubblicazione del capodistriano Lauro Decarli dal titolo "Origine del dialetto veneto-istriano", con un sottotitolo "Con particolare riferimento alla posizione di Capodistria".

Sulla scia di illustri glottologi che hanno scritto sul passato della Venezia Giulia (Ascoli, Bartoli, Goidanovich oppure Vidossi) il Decarli parte con una raccolta e classificazione di oltre 2000 schede di soprannomi capodistriani, mentre in un secondo tempo venne ad appassionarsi alla conoscenza del dialetto locale e dell'istriano nel suo insieme. Dalla motivazione e origine della forma dialettale, il Decarli ha voluto interessarsi di "Come, quando e perché ha preso piede nelle nostre terre il dialetto veneto". All'inizio fu portato a ritenere, piuttosto semplicisticamente, che i secoli di presenza della Repubblica di Venezia sulle nostre regioni avessero avuto un'incidenza sulla parlata e sulla cultura tali da determinare, con il tempo, la loro tranquilla acquisizione. Ma questo concetto non perdurò a lungo nella visione del Decarli perché con degli studi arrivò a un'altra conclusione documentata con dei particolari. Divenne sua ferma convinzione che il veneto-istriano o istro-veneto si fosse sostanzialmente formato parallelamente al veneto di terraferma. Dalla comune matrice del latino di Aquileia, dato che non per nulla la X Regio dei Romani portava il predicato "Venetia et Histria"! Se così realmente fosse, si tratterebbe di uno stravolgimento epocale, obbligati come saremmo a ritenere il nostro veneto un veneto che affonda le sue basi in epoca anteriore a quella in cui è venuta ad affermarsi l'egemonia della Serenissima.

Area complessa

La nostra penisola è un'area molto complessa in fatto di insediamenti preistorici, prostorici e storici, rappresentando fra l'altro un cuneo fra friulità e la dalmaticità. Una zona fuori mano rispetto alle invasioni, che ha acconsentito la sopravvivenza di arcaismi di vario genere. Il Decarli tratta vari argomenti, in maniera sempre esaustiva: essi spaziano dalla situazione etnica esistente in epoca preariana alla formazione dei dialetti e delle lingue romanze, dalla indoeuropeiazione degli Istri autoctoni alla romanizazzione della provincia. Sono illustrati pure i rapporti storici e sociali tra città e campagna, l'influenza dei vari popoli venuti a contatto con gli originari Istri, il significato delle cinte murarie difensive dei castellieri e quello dei confini posti dai Romani al Risano e all'Arsa.
Data l'influenza esercitata in antico da Aquileia, appare fondamentale la presenza del sostrato aquileiense al fine di accertarne l'attribuzione al ladino dell'area friulana, oppure al veneto. Il Decarli afferma che Aquileia abbia avuto alcun sostrato celtico, che invece è presente a Trieste e a Muggia, come risultato forse di singoli ed oscuri insediamenti, a cui probabilmente fatto da argine il Risano.

Parlata autoctona

Il veneto istriano può pertanto considerarsi una parlata autoctona di quella parte dell'Istria che è gravitata verso Aquileia romana, influenzata in origine dai veneti (non ancora scesi nelle lagune). Il Decarli dimostra che il ruolo esercitato da Venezia sul dialetto capodistriano è di tipo evolutivo e non sostitutivo della parlata precedente, come invece è avvenuto in altre località, vedi Trieste, Pola e la Dalmazia. Quindi si pone l'interrogativo dell'esistenza in Istria di due dialetti, il veneto e l'istrioto. Vi sono in merito più ipotesi, ma il Decarli non tralascia una propria, secondo cui il sostrato istrioto non sarebbe attribuibile alla popolazione autoctona ma ai coloni romani dell'agro di Pola, venuti dall'Italia meridionale il che risulterebbe non solo dai relitti linguistici, ma anche dai caratteristici arcaismi architettonici. Dall'esame dei vocalismi delle varie aree in esame, con l'ausilio di una esatta cartina geografica illustrante il testo, è una riprova delle affermazioni dell'Autore, che non manca di porre interessanti esempi e di fornire significativi saggi. Risulterebbe che gli Istri nulla hanno da spartire con gli Illiri, i quali nulla hanno a che fare con i protoslavi.

Puliti i sottosfondi politici

Recenti studi più avanzati hanno portato a ridimensionamenti, ripulendo degli sottosfondi politici. Il Decarli nell'ultimo capitolo si sofferma sul problema particolare di Capodistria, erroneamente assegnato all'area ladina. In merito cita il testo di una novella del Boccaccio, tradotta, in antico, in "lingua istriana", prendendo in esame vari toponimi locali. I ladinismi non sarebbero altro che elementi arcaici, comuni non solo al friulano, ma ad un'area più vasta dell'Italia settentrionale. Per i tiponimi si tratterebbe di alcuni casi dubbi di località ubicate tutte nelle immediate vicinanze del Risano. Sono queste forse delle tesi inedite circa l'origine della parlata comunemente chiamata "istro-veneta". Di certo vi è tanto lavoro per glottologi che dovrebbero pronunciarsi in merito. Comunque per noi istriani rimane questo un problema più volte menzionato, che dovrebbe pronunciarsi con maggiore precisione sull'istro-veneto.

Elio Musizza

0 Condivisioni

Scopri i nostri Podcast

Scopri le storie dei grandi campioni Giuliano Dalmati e le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico attraverso i nostri podcast.