Non era tipo da cullare dentro di sé l’utopia del mondo perfetto, Fulvio Tomizza. Perché non amava illudersi, perché preferiva tenere i piedi ben piantati per terra. Eppure, quando ormai si era trasferito a Trieste e il mondo viveva ancora sotto sequestro della guerra fredda, andando a ritroso con la memoria si era convinto di avere visto da vicino un piccolo paradiso terrestre. Un mondo che, prima della Seconda guerra mondiale, prima di essere devastato dall’odio etnico, sembrava vivere in equilibrio. In armonia. Quel mondo era l’Istria della sua adolescenza. «La guerra era lontana, sui nostri fili si posavano le rondini» scriveva nel suo terzo romanzo intitolato “La quinta stagione”, pubblicato da Mondadori nel 1965 dopo il successo di “Materada” e della “Ragazza di Petrovia”.
Adesso a riproporre il libro, ormai introvabile da tempo, nella Biblioteca Novecento è Marsilio editore, che lo distribuisce nelle librerie domani. In una nuova edizione preceduta da un piccolo saggio di Helena Janeczek (pagg. 224, euro 12,50). Forse un po’ sottovalutato rispetto alla Trilogia istriana, “La quinta stagione” è il primo capitolo di una quadrilogia che ha per protagonista Stefano Markovic. L’alter ego narrativo di Tomizza. In seguito, il personaggio ritornerà ne “L’albero dei sogni”, “La città di Miriam” e in quel libro in forma di lettera che è “Dove tornare”. Apparentemente, potrebbe essere raggruppato tra i romanzi di formazione. In realtà Tomizza, che aveva già iniziato a lavorare a questa storia nel 1957, si spinge molto più in là. Il paese di Giurizzani che Tomizza ritrae con pennellate ruvide, coloratissime e assai efficaci, è sospeso in una sorta di equilibrio delicato. Dove c’è posto per i primi turbamenti carnali, per le sfide impossibili all’autorità degli adulti, per i riti sempre uguali della civiltà contadina. Poi, all’improvviso, quel microcosmo dove vivono fianco a fianco italiani e slavi scopre il fascino del Male. Che si presenta nascosto sotto la divisa dei soldati nazisti, dei fascisti. Di chi porta impresso nella carne il Verbo della guerra, della violenza, dell’odio etnico. L’adolescente Stefano Markovic attraversa, così, un’esperienza irripetibile.
Perché al richiamo fortissimo della vita che scorre in lui, e che lo porterà proprio sul finire del romanzo alla partenza per il seminario di Capodistria, si contrappone la voce oscura di chi promette un futuro migliore. E porta avanti il suo progetto a suon di fucilate, bombe, devastazioni. Sotto gli occhi del lettore, quell’atmosfera sonnachiosa, increspata solo da avvenimenti minimi che scandiscono le giornate d’Istria, viene stravolta dal terrore. Dalle incursioni dei soldati nazifascisti e dei partigiani che, contrapponendosi a loro, inneggiano a Tito. Come se fosse il nuovo salvatore. Tra ingenuità, piccole cattiverie e scontri con il mondo dei grandi, Stefano Markovic prende coscienza piano piano del fatto che la guerra sta condizionando il suo presente. E il futuro. Fino a spingerlo a provare un misto di rabbia e compassione, di odio e tenerezza nei confronti di chi si fa ammazzare eseguendo un ordine, inseguendo un ideale. Emblematica, a questo proposito, è l’immagine del sangue che macchia il filo spinato posto attorno a una foiba. Premonizione di quello che accadrà agli italiani d’Istria sul finire della Seconda guerra mondiale. Perseguitati, gettati vivi nelle cavità carsiche, costretti ad abbandonare per sempre la propria terra.
Ma “La quinta stagione” ha anche la forza di fare di Stefano Markovic il messaggero tormentato di un mondo che stava cambiando per sempre. E in cui un adolescente, smarrito e confuso per quello che andava prendendo forma ai suoi occhi, poteva anche perdere il filo dei pensieri. Restando indifeso in balia degli eventi. «Dalla pancia di un apparecchio – scrive Tomizza – uscì una bomba. Sentì papà gridare “A terra!” e poi “Stefano”. Quanto sarebbe stato bello morirgli lì tra le braccia in mezzo a tutto il suo rimorso». Ecco, “La quinta stagione” è il romanzo dell’innocenza perduta. Che agli occhi di Tomizza, il mondo non riacquisterà più.
Alessandro Mezzena Lona
“Il Piccolo” 4 aprile 2012