Intervento pronunziato nell’ambito del Consiglio Comunale di Trieste in occasione del Centociquantenario dell’Unità d’Italia.
di Sergio Pacor*
Autorità civili e militari, consiglieri e assessori, cari concittadini, nell’aprire i lavori della seconda parte del Consiglio Comunale, desidero portare il saluto del nostro Sindaco, impegnato a Roma nella cerimonia commemorativa nazionale. Il largo consenso dei capigruppo ha determinato la convocazione dell’odierno Consiglio comunale per commemorare i 150 anni dell’Unità d’Italia. (…) L’odierna commemorazione costituisce occasione utile per togliere il Risorgimento dall’oleografico e ripensare alle ragioni e alle passioni che hanno determinato la costituzione dello Stato Italiano con le sue luci, e le sue ombre.
Oggi peraltro è il momento della festa e delle luci per valorizzare quell’evento straordinario che costituì la conclusione di un percorso, in un certo modo, dei sentimenti e delle volontà di tutto un popolo, che volle, in un certo momento della propria storia, la creazione di uno stato nazionale che superasse l’articolata frammentazione regionale esistente, risultato di vicende storiche complesse.
La lingua di Dante Alighieri, il pensiero di Giuseppe Mazzini, le riflessioni di Alessandro Manzoni su tutti, ma anche il pensiero di Cattaneo, D’Azeglio e poi operativamente l’azione di Cavour e Garibaldi e dei Savoia, consentirono di superare contrasti e timori ed ogni ostacolo con generosità e a prezzo altissimo di vite umane. Unificazione tra l’altro frutto di plebisciti al Nord e dì conquiste al Sud.
Riunifìcazione, ma…
Riunificazione comunque incompleta. Com’è noto. Venezia, Roma e il Lazio e per quello che ci riguarda più da vicino Trieste, la Venezia Giulia con l’Istria, Fiume e la Dalmazia con le isole, non erano incluse nel territorio nazionale. Solo il sangue di 600mila morti consentirono dopo quasi sessantanni, che Trieste, la Venezia Giulia e le altre zone adriatiche, di cui ho detto, fossero parte dello Stato Italiano. In seguito le vicende di una guerra sciagurata determinarono mutilazioni e lutti, successivamente al 1945, com’è noto a tutti. Tornando al periodo preunitario, la riunifìcazione della Nazione era l’antico auspicio e il desiderio di Trieste, Istria e delle terre dalmate. L’appello del grande patriota, giornalista e scrittore, il dalmata Niccolò Tommaseo, verso la metà dell’Ottocento consentì spunti per il discorso del “grido di dolore” a Carlo Alberto. Anche Trieste, allora porto principale dell’impero asburgico, ma di lingua e sentimenti italiani, festeggiò, pur se tra molte difficoltà, l’unità d’Italia, con cortei e bandiere, subendo la repressione della polizia austriaca. Fondamentale l’opera patriottica di Felice Venezian, ma anche di molti altri concittadini, che dal 1870 e per oltre vent’anni, dai banchi del Comune sostennero l’italianità di Trieste.
Oberdan
Il Venezian quale capo del partito nazionale e irredentista. Sempre verso la fine ‘800 (1882) il sacrificio di Guglielmo Oberdan che “gettò il proprio corpo tra l’Austria e l’Italia”, richiamò l’attenzione internazionale sulle terre irredente, problema visto fino ad allora, nel contesto europeo, come, tutto sommato, periferico. La numerosa schiera dei triestini, oltre 1500, che a rischio della vita, sia negli scontri con gli austriaci che se catturati prigionieri quali cittadini austriaci e quindi disertori e traditori dell’Austria, testimoniano l’amor patrio dei triestini, istriani e dalmati. Ricordiamo, per tutti, Nazario Sauro, e tra quelli che sopravvissero (alla prima guerra mondiale) Gabriele Foschiatti, combattente decorato mazziniano, antifascista, europeista, poi deportato a Dachau da dove non farà ritorno, teorico di democrazia e tolleranza nel filone patriottico. Per non parlare di Scipio Slataper e di tutti gli altri caduti della Prima Guerra Mondiale. Tutto il periodo preunitario è caratterizzato da espressioni continue della volontà di Trieste, della Venezia Giulia e dei Dalmati di far parte della giovane nazione italiana.
Ogni ceto
E’ difficile riproporre in un discorso di sintesi i sentimenti che hanno animato i patrioti del periodo preunitario. Provenivano da ogni ceto sociale, diversamente da quanto avvenne in altri contesti europei, in cui le avanguardie culturali iniziavano le rivolte contro l’assolutismo e la mancata concessione della Costituzione da parte delle case regnanti o comunque dominanti, istanze che, solo successivamente, venivano condivise dalla popolazione. In Italia ci fu, straordinariamente, una corale espressione nei confronti dell’unità della nazione italiana che coinvolse tutte le componenti della società, compresi gli operai, pur in allora operanti in condizioni disumane. Si tenne così vivo il sentimento nazionale dando vita dopo il trattato di Versailles ad episodi di eroismo che rivendicavano la necessità di rompere le catene dell’autoritarismo unendo il sentimento percepito della indifferibìlità dell’Unità della Patria comune, in un’unica entità. Da Amatore Sciesa, giovanissimo tappezziere milanese, a Silvio Pellico a lungo incarcerato, ai fratelli Cairoli a Carlo Pisacane e a tutti gli eroi del periodo preunitario, va il nostro pensiero grato.
Pregiudiziale
Tra le tante difficoltà la pregiudiziale repubblicana è stata quella più sentita ed ha escluso Giuseppe Mazzini, grande ideologo dell’Unità Italia, dalla concreta partecipazione all’avvio della realizzazione del nuovo Stato. Pregiudiziale repubblicana mai superata del tutto da Garibaldi e fonte dell’esilio e del rientro sotto falso nome di Mazzini che a Londra operava con gli esiliati anche da altri Paesi europei. (…) Mazzini, considerato tra i padri della allora giovane nazione aveva, del resto, prospettato con lungimiranza anticipatrice, nel 1842, anche l’esigenza dì un’Europa unita, fondando la Giovane Europa con finalità unitarie di tutti i Paesi Europei, Unità ideale, che se avviata fin da allora, avrebbe risparmiato guerre e decine di milioni di morti, oltre a tutto il resto, nei primi cinquant’anni del ‘900. Solo nel 1957, con il trattato di Roma, miracolosamente, a poco più di dieci anni dalla conclusione di una guerra devastante, menti illuminate, tra gli italiani Altiero Spinelli, Carlo Sforza, Alcide De Gasperi, Ugo La Malfa, avviarono i contatti per tale obbiettivo che si ottenne dopo gli accordi per la Ceca (comunità europea del carbone e dell’acciaio) e quelli fondamentali della Nato.
Vite stroncate
Tornando alle tormentate vicende dell’Unità d’Italia, lunghi anni di carcere, le vite stroncate a vent’anni o poco più di Goffredo Mameli ad esempio, il più noto anche per la paternità dell’inno nazionale, generose intelligenze stroncate sul Carso, devono costituire per noi tutti, un debito di gratitudine e di affetto che auspico sia ripagato con il recupero della solidarietà nazionale. Quella vera, che vada oltre al simbolo della bandiera, ora divenuto patrimonio di tutti dopo gli anni problematici dell’internazionalismo e del dileggio anche delle parole Patria e Nazione sostituite dal termine Paese nella terminologia usata da molte forze politiche anche maggioritarie. (…) L’occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia ci deve impegnare alla lealtà costituzionale nel senso che ogni organo dello Stato e le assemblee elettive delle autonomie pubbliche ad ogni livello devono interpretare il ruolo che a ciascun potere e ordine o espressione elettiva democratica viene dalla stessa attribuito. I compiti e funzioni e i modi del confronto di ciascuno devono essere compatibili con tali ruoli, senza denigrazioni gratuite o polemiche distorcenti. Solo così il nostro Paese potrà proporsi nel contesto internazionale nella posizione che gli compete come riferimento rilevante del pensiero e della cultura Occidentale.
*Presidente del Consiglio Comunale di Trieste
(courtesy MLH)