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Quarantotti Gambini, italiano sbagliato ma attuale (Il Piccolo 13 ott)

di ALESSANDRO MEZZENA LONA

Non praticava volentieri l’arte di fare complimenti, Umberto Saba. Eppure, quello che andava scrivendo il ragazzone alto alto, elegante, gentile, dall’altisonante, indimenticabile nome, Pier Antonio Quarantotti Gambini, era riuscito a colpire davvero l’autore del ”Canzoniere”. Tanto da spingere il vecchio poeta ad azzardare una profezia: «Ho l’impressione che tu sia uno scrittore, anzi sento che sei uno scrittore. E in queste cose non mi sbaglio».

Non si sbagliava, Umberto Saba. E non sbagliava nemmeno quando, per stemperare un po’ la forza di quel suo vaticinio, aggiungeva: «Scrivi, e poi fammi vedere». Perché sarebbe stato proprio lui a regalare a uno dei gioielli narrativi di Quarantotti Gambini il titolo ”L’onda dell’incrociatore”. Perché il ”vecchio” avrebbe accompagnato il ”giovane” fino a vederlo cogliere il successo. Fino a sentirlo acclamare come scrittore degno di assicurarsi il Premio Bagutta. E di attirare l’attenzione di uno dei più geniali e ”irregolari” registi francesi, Claude Autant Lara, che proprio dall’«Onda» avrebbe tratto nel 1960 il suo film ”Les régates de San Francisco”.

Morto troppo presto, il 22 aprile del 1965 a 55 anni, colpito da un infarto alla fine del pranzo di Pasqua, Quarantotti Gambini può essere considerato oggi uno dei grandi assenti nelle storie della letteratura italiana. Non facile reperire i suoi libri (soprattutto lo splendido romanzo ”La calda vita”, da cui Florestano Vancini trasse un non eccelso, ma dignitoso film, nel 1964, con Catherine Spaak, Jacques Perrin, Gabriele Ferzetti e Fabrizio Capucci), ancor più difficile trovare riferimenti alla sua opera sulle pagine culturali dei principali quotidiani italiani.

Adesso, una mostra e un ciclo di incontri, accompagnati da proiezioni di film, danno lo spunto per riparlare dello scrittore nato in Istria, a Pisino, nel 1910. ”Quarantotti Gambini. L’onda del narratore” viene inaugurata venerdì, alle 17.30, nella Sala Attilio Selva di Palazzo Gopcevich, in via Rossini 4 a Trieste. Curata da Marta Angela Agostina Moretto e Daniela Picamus, è promossa dall’assessorato alla Cultura del Comune di Trieste in collaborazione con l’Istituto regionale per la cultura istriana, fiumana e dalmata.

Le conversazioni, in Sala Bobi Bazlen di Palazzo Gopcevich, partiranno da Elvio Guagnini, che approfondirà il Quarantotti Gambini narratore, mercoledì 20 ottobre alle 17.30. Seguiranno gli incontri con Robertio Spazzali (27 ottobre) sullo scrittore e il suo tempo; con Irene Visintini (29 ottobre) sull’attività giornalistica; con Mauro Covacich (10 novembre) sullo scrittore a tutto tondo; con Roberto Curci (primo dicembre) sul poeta. Quattro le proiezioni di film tratti dalle opere di Quarantotti Gambini, a cura di Sergio Grmek Germani: ”La rosa rossa” di Franco Giraldi (3 novembre alle 16.30); ”La calda vita” di Florestano Vancini (17 novembre); ”Il risveglio dell’istinto-Les régates de San Francisco” di Claude Autant Lara (24 novembre); documenti filmati su Quarantotti Gambini tratti dagli archivi Rai e dalla Cineteca del Friuli Venezia Giulia (8 dicembre).

Come raccontare un «italiano sbagliato», come lui stesso si definiva, a oltre quarant’anni dalla sua morte e a cento dalla nascita? Non è facile, anche perché Quarantotti Gambini ha sempre evitato di farsi arruolare dai conservatori, vista la sua scarsa sintonia con il fascismo e dintorni, e dai progressisti, che non lo appoggiarono di certo quando dovette scappare da Trieste, da direttore della Biblioteca Civica, perché i partigiani di Tito lo stavano cercando. Nel secondo dopoguerra, poi, aveva unito la sua voce a quelle di chi non sapeva rassegnarsi alla perdita dell’Istria, e aspettava con terrore le decisioni sul futuro di Trieste.

Però le due curatrici della mostra, potendo contare sull’intero archivio donato dalla famiglia dello scrittore all’Irci (come ricorda il direttore Piero Delbello nel suo scritto, ricco di suggestioni e emozione, inserito in catalogo), hanno saputo partire dai luoghi e dalle parole. Documentando il rapporto intenso tra l’autore della ”Rosa rossa” e le città che ha abitato, amato: Capodistria, Trieste, Venezia. Ma andando a scavare, al tempo stesso, nei carteggi (con la poetessa Lina Galli, con Umbero Saba), nei rapporti di amicizia e di sintonia letteraria (con Virgilio Giotti, Anita Pittoni, Giani Stuparich, Bobi Bazlen e, ovviamente, ancora Saba). Senza dimenticare la sintonia con alcune figure della famiglia: in particolare il padre, il nonno e lo zio Pio Riego.

«Accanto al rapporto con la cultura triestina è ben documentato – scrivono Moretto e Picamus – il contesto più ampiamente europeo e internazionale in cui Quarantotti Gambini si muove e opera: scrittore di viaggio, giornalista, inviato oltre che narratore, l’autore istriano ha intessuto rapporti di amicizia con varie personalità del mondo intellettuale e questa internazionalità si riflette sia sui contenuti – attuali quanto mai – della narrativa gambiniana, sia sul nutrito corpus di traduzioni. Esso testimonia l’interesse che l’autore suscitava anche al di fuori dei confini nazionali».

Quarantotti Gambini, che oggi tanti considerano uno scrittore legato troppo al proprio tempo, e quindi ”datato”, in realtà era attentissimo non solo all’equilibrio dei suoi testi, alla musicalità del ritmo narrativo, alla scelta oculata delle parole. In un certo senso, come documenta la mostra, può essere considerato una sorta di anticipatore degli autori d’oggi. Perché giocava a tutto campo, spaziando dalla narrativa all’attività giornalistica, dalla poesia a sofisticati reportage come ”Sotto il cielo di Russia” e ”Neve a Manhattan”. Ma anche perché, cosa rara in quegli anni, seguiva tutte le fasi di ”lavorazione” dei suoi libri. Arrivando a discutere, e tentare di correggere, perfino la pubblicità che avrebbe preceduto l’arrivo delle opere sul mercato librario.

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