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Quei campi di prigionia in Jugoslavia (Giornale di Brescia 09 nov)

LETTERE

Il 12 novembre è apparso a pag. 9 del Suo quotidiano un articolo a firma di Valerio Di Donato, dove si equipara­no in un certo qual modo il campo di concentramento italiano sull'isola di Arbe (Rab in croato) e quello tirino di Goli Otok (in italiano isola Calva). Ora il campo italiano è esistito in tempo di guerra dal 1942 al 1943 che è stato il pe­riodo più tragico della storia d'Italia, mentre quello ritino è stato fatto nel 1948 in tempo di pace. In quello italia­no finivano i partigiani sloveni e croati comunisti ed i loro fiancheggiatori, e si sa che con le leggi di guerra i civili arma­ti (partigiani) non vengono trattati con delicatezza (possono essere fucilati sul posto della cattura senza processo). Il maresciallo Tito invece mise a Goli Otok, gli stessi partigiani comunisti che avevano combattuto valorosa­mente ai suoi ordini la guerra di libera­zione contro il nazifascismo razzista per la pace e la fraternità fra i popoli. Sappiamo poi come è andata a finire la fratellanza dei popoli slavi quando la Jugoslavia è esplosa in una guerra civi­le spaventosa.

Comunque il paragone definitivo tra le atrocità nazifasciste e quelle comuni­ste descritte dal giornalista comunista Giacomo Scotti nel libro dal titolo «Goli Otok», lo si può capire a pag. 221 do­ve c'è la testimonianza di un reduce del campo ritino di nome Mario Bontempo, il quale per la sua adesione alla Resistenza era stato mandato dai tede­schi per due anni nel campo di stermi­nio nazista di Dachau. Al ritomo da Dachau finiva a Goli Otok perché comuni­sta filosovietico. Alla domanda del gior­nalista che gli chiedeva la differenza di trattamento nei due campi di concen­tramento rispondeva: meglio un mese a Dachau che un'ora a Goli Otok!

Renato Palladini, Brescia

(courtesy MLH)

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