Padre Placido Cortese fu forse cremato nel forno della risiera, a Trieste. Direttore del «Messaggero di Sant`Antonio», aiutò ebrei e patrioti.
L'ultimo ricordo di lui è una straziante testimonianza. Qualcuno vide il povero frate con la tonaca insanguinata, il viso stravolto dai colpi ricevuti, le dita delle mani spezzate. Su di lui avevano infierito le belve delle S.S. assieme ai fascisti che collaboravano con loro. Di padre Placido Cortese, frate minore conventuale di Sant`Antonio a Padova, direttore del Messaggero di Sant`Antonio, non si è saputo più nulla. Né come sia stato ucciso, né dove il suo corpo sia finito. Forse un mucchietto di cenere nel forno crematorio della risiera di San Vito, a Trieste.
«Notte e nebbia» era il sistema degli aguzzini nazisti per rendere ancora più atroce la procedura di eliminazione delle loro vittime. Che venivano portate via all`improvviso, torturate, sottoposte alle più feroci sevizie, per poi sparire, come inghiottite da una nebbia di orrori senza fine.
Ma chi ha massacrato e sepolto nel nulla padre Placido non ha vinto. Il male è stato sconfitto dalla paziente opera di ricerca degli ultimi giorni, delle ultime ore di questo frate per il quale è in corso il processo di beatificazione. Conclusa la fase diocesana, le testimonianze raccolte sono state inviate alla Congregazione per le cause dei santi.
«Ora si attende – spiega fra Enzo M. Poiana, rettore della basilica del Santo e notaio al processo di beatificazione – che la Congregazione decida se ammettere la causa per martirio o per esercizio delle virtù eroiche. Nel secondo caso, una volta valicata la procedura diocesana e stesa la positio si dovrà attendere il miracolo».
C`è una pace tutta francescana sul sagrato della chiesa di San Francesco nell`isola di Cres, nel golfo del Quarnaro, in Croazia. Una statua in bronzo raffigura l`umile fraticello a grandezza naturale. Il viso affilato, gli occhialini, sembra procedere in direzione del mare che si trova a pochi metri, sul fondo di una delle tante insenature che costellano le sponde di queste isole.
Un tempo Cres veniva chiamata Cherso. Fu per quasi quattro secoli sotto la dominazione di Venezia e quasi ovunque si vedono i segni di questo antico rapporto; gli abitanti – soprattutto le persone di mezza età, Contadini e pescatori parlano un dialetto, il «chersino», e sembra di essere in una calle all`ombra del campanile di San Marco.
Si racconta che San Francesco, nel viaggio di rientro dalla missione in Oriente, abbia sostato in questa isola e che vi abbia lasciato alcuni suoi frati. Fu così che venne costituita -siamo nel XIII secolo- una piccola comunità dove ora sorgono il convento e la chiesa di San Francesco, costruita nel `400 in stile gotico-francescano.
Tradizione o leggenda, nella storia della presenza francescana in Dalmazia il convento di Cres è uno dei luoghi più importanti per storia, arte e cultura. Lo testimoniano la biblioteca, il prezioso archivio con pergamene che risalgono al`300 e il museo sacro, cui va aggiunta l`eredità spirituale di padre Placido che a Cres nacque nel 1907, quando l`isola apparteneva ancora all`impero austroungarico.
Di semplice famiglia (il padre, Mattia,era guardia campestre), il piccolo Nicolò Matteo frequentava il convento dedicato a San Francesco. Immaginiamo che quando si manifestò in lui la vocazione i buoni frati consigliarono papà Cortese di accompagnare il futuro padre Placido (che allora aveva 13 anni) al seminario di Camposampiero, non molto lontano da Padova. Era l`ottobre del 1920: quattro anni più tardi il giovanissimo fra Placido diventò frate conventuale a Padova.
Tra studi e spostamenti, fu a Venezia nel seminario di teologia attiguo alla basilica dei Frari, quindi per quattro anni a Roma per completare gli studi teologici. Ordinato sacerdote il 6 luglio 1930, una settimana dopo è già nella sua bella isola per celebrare la Messa tra i suoi cari.
Ma è la basilica del Santo che lo chiama. Aveva già incominciato a scrivere articoli per il Messaggero di Sant`Antonio. Presto divenne direttore dell`importante periodico, diffusissimo tra i fedeli del Santo fino a sfiorare la cifra di 800.000 abbonati. Si rese necessario realizzare una nuova tipografia e acquistare una moderna rotativa, che incominciò a funzionare nel 1939. Ma la serenità del chiostro presto sarebbe stata turbata e poi sconvolta da tragici eventi: la guerra, i bombardamenti, la presenza sempre più feroce delle S.S. dopo l`8 settembre del `43.
Padre Placido non poteva restare indifferente. Anzi, si «spende» per gli altri. Il suo confessionale nella basilica è punto di riferimento per ebrei braccati, patrioti che cercano di sottrarre alla cattura soldati alleati (soprattutto aviatori), persone che gli portavano soldi e medicinali da recapitare ai campi di concentramento dove venivano deportati tanti giovani croati. Il fraticello sfruttava anche gli impianti della tipografia per fabbricare documenti falsi per i prigionieri in fuga.
I tedeschi incominciarono ad avere sospetti. Lo tenevano d`occhio marcandolo da vicino: la sua cella fu perquisita, venne fermato e interrogato per qualche ora, poi rilasciato. Le S.S. fecero sentire sempre di più la loro inquietante presenza. La comunità era timorosa, forse non comprese quello che stava avvenendo e perché: non ci fu quasi nessuna reazione a quello che avvenne l`8 ottobre 1944. Due uomini bussano al convento e chiedono a fra Stanislao, il portinaio, di poter parlare con padre Cortese, lo fanno salire su un`auto e se lo portano via: ha solo il tempo di salutare con la mano il confratello.
Non se ne seppe più nulla. Scomparso, e non furono nemmeno compiuti molti tentativi per rintracciarlo. Vittima di tempi atroci, come tanti. Solo nel 1995 il racconto di una donna incominciò a far luce sul suo martirio. Ci sono volute poi la determinazione e la fiduciosa costanza di Paolo Damosso, autore e regista di produzioni televisive: risalendo esili tracce, intervistando e soprattutto ascoltando, ha trovato testimonianze ed è approdato al bunker di piazza Oberdan a Trieste, dove le S.S. e i loro complici torturavano e massacravano. Padre Placido è stato visto lì, distrutto nel fisico ma non nell`indomabile fermezza di non parlare, di non cedere: «Era un sacco di ossa, di sangue, di mani rotte».
Paolo Damosso ha scritto un libro (con illustrazioni di Vico Calabrò, Edizioni Messaggero Padova) e ha realizzato un dvd su Il coraggio del silenzio di padre Placido. Un documento forte e drammatico. Nel frattempo la causa di beatificazione va avanti. Scrive padre Danilo Salezze, direttore generale del Messaggero: «Si tratta di un vero eroe della carità».
Pino Capellini