Settantacinque anni fa, alle 4.35 del 28 febbraio 1940, le sirene d’allarme dell’impianto minerario della società Arsa, vicino alle città di Albona e di Arsia, suonarono a distesa annunciando il più grave disastro minerario della storia d’Italia. Un’esplosione causata da una fuga di grisou provocò la morte di 185 persone, più del disastro che sarebbe avvenuto a Morgnano nel 1955 (23 morti) e di quello dell’anno prima a Ribolla (43 morti). Le vittime della miniera di Arsia furono anche più di quelle – italiane – di Marcinelle (136), e più di quelle dei disastri nelle miniere americane di Monongah (171, sempre italiani), e Dawson (146). Con la differenza che i morti dell’Arsia sono stati a lungo dimenticati, prima perché il regime fascista stese un velo di silenzio sulla sciagura, dopo perché furono considerati croati dall’Italia e italiani – e per di più fascisti – dai croati. Insomma morti della terra di mezzo, scomodi da una parte dell’altra (anche sa fra i minatori oltre agli italiani c’erano sloveni e croati), la cui memoria è stata sacrificata sull’altare di una storia complessa e anch’essa scomoda.
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