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Quella piccola, necessaria ferita all’unità (Avanti! 19 ott)

di Angelo Miele

Aldo Chiarle (posso dire memoria storica del glorioso Partito socialista italiano?) – a me caro sebbene non abbia una conoscenza di lui di vecchia data, e che ringrazio per avermi generosamente gratificato dell’appellativo di giurista, che credo non mi si addica, tanto più che esso è aggettivato da un “insigne” – mi chiede di rispondere alla domanda di alcuni lettori dell’Avanti! desiderosi di sapere perché e come alcune Regioni siano diventate “speciali”.Comincio dal come. Queste Regioni – Sicilia, Sardegna, Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta e Friuli-Venezia Giulia – sono titolari per dettato costituzionale, di forme e condizioni particolari di autonomia, specificate nei relativi Statuti adottati con legge costituzionale (articolo 116 della Costituzione). Per le prime quattro di esse provvide la stessa Assemblea costituente, che emanò le rispettive leggi costituzionali – tutte in data 26 febbraio 1948; la n. 2 per la Sicilia, la n.3 per la Sardegna, la n. 4 per la Valle d’Aosta, la n. 5 per il Trentino-Alto Adige; per il Friuli-Venezia Giulia l’Assemblea, pur includendola tra quelle a statuto speciale (vedasi il citato art. 116) decise di soprassedere alla emanazione della relativa legge costituzionale, stabilendo, tuttavia, che fosse ad essa applicata provvisoriamente la disciplina prevista per le Regioni ordinarie (così la X disposizione transitoria della Costituzione).

E poiché questa disciplina tardava a venire, si ruppero gli indugi e si provvide ad emanare la necessaria legge costituzionale, la n. 1 del 31 gennaio 1963.Perché furono istituite? Una risposta completa e non superficiale a tale interrogativo richiederebbe un lungo discorso, tenuto conto anche delle particolarità inerenti a ciascuna di queste regioni, particolarità che non consentono una visione unitaria delle cinque Regioni a statuto speciale. Qui, pertanto, posso sola fare degli accenni, ricordando, innanzitutto, l’osservazione di Costantino Mortati – uno dei Padri costituenti (che vedeva nelle Regioni a statuto speciale il pericolo di un indebolimento dell’unità d’Italia) -, il quale scrisse che alcuni istituti autonomistici erano già da tempo costituiti e che, quindi, non c’era altro da fare che prenderne “dolorosamente” atto (Mortati, Problemi di diritto pubblico nell’attuale esperienza costituzionale repubblicana, Giuffré, 1972, pag. 479-480). In effetti, per la Sicilia, essendo colà un risalente movimento separatista, prima da Napoli poi dall’Italia, appoggiato soprattutto dai latifondisti; si provvide ad arginarlo con l’istituzione della Regione siciliana, avente autonomia amministrativa (decreto legislativo del 15 maggio 1946).

Ma partiamo dal Progetto di Costituzione, che all’articolo 108 al secondo comma recitava: “Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige e alla Valle d’Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia con statuti speciali mediante leggi costituzionali”; non era inclusa il Friuli-Venezia Giulia stanti i noti rapporti tesi con la Iugoslavia di Tito, come fu rilevato in Sottocommissione, quella che aveva la competenza in ordine all’ordinamento costituzionale della Repubblica. All’Assemblea costituente, però, nella seduta del 27 giugno 1947 fu discusso e approvato l’articolo 116, sopra nominato, che prevede “forme e condizioni particolari di autonomia, secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali, e ciò anche per la Venezia Giulia. Il relatore, l’onorevole Ambrosini, aveva proposto che si adottasse appunto un ordinamento differenziato “tenendo conto che per la Sicilia era già stato attuato uno Statuto autonomo (come detto nel maggio 1946), la cui revoca si prospettava, per ragioni politiche, non possibile, e che per la Sardegna e per il Trentino-Alto Adige si appalesava opportuno, in considerazione della particolare situazione, dotarle dello statuto speciale”.

Non vi fu una più completa esposizione delle ragioni a sostegno della scelta operata in favore delle Regioni speciali. Qualcosa di più indicativo si evince dai lavori dell’Assemblea costituente per quanto riguarda la Regione Venezia-Giulia: era stata proposta la dizione “Regione giulia-friulana e Zara” (onorevole Pecorari), ma l’onorevole Meuccio Ruini (presidente della Commissione redigente il Progetto di Costituzione) si oppose, facendo notare che sarebbero potute derivare complicazioni internazionali da un’esplicita costituzionalizzazione dell’italianità di Zara. L’onorevole Pecorari accettò il rilievo e propose la formula che si legge ora nell’articolo 116, motivandola con l’opportunità, “soprattutto ora che tutti noi desideriamo una distensione di spiriti nei rapporti internazionali, di offrire fin da questo momento la base acché i futuri amministratori di quella Regione possano creare un’organizzazione la quale posa servire come strumento di pacificazione col popolo vicino”.

Pur in mancanza, quindi, di esplicite motivazioni della scelta di creare le cinque Regioni a statuto speciale, si può ritenere che, da una parte c’era la preoccupazione di arginare o prevenire rigurgiti di mire separatiste (per quanto riguarda Sicilia e la Sardegna), dall’altra, giocava il fatto che le tre Regioni nordiche si trovano a confine di altri Stati e perciò hanno nel loro territorio raggruppamenti etnici (le cosiddette minoranze etniche e linguistiche). Onde sembrò opportuno, superando qualche perplessità in ordine al pericolo di indebolimento dell’unità dell’Italia, di prevedere, con le Regioni a statuto speciali, una deroga alla disciplina generale, nel quadro, però, dei principi costituzionali che reggono l’intero ordinamento giuridico repubblicano.

La diversità tra le Regioni a statuto ordinario e quelle a statuto speciale sta in questo: le prime emettono norme di attuazione e di integrazione della disciplina dettata in via generale nel Titolo V della Parte Seconda della Costituzione (che tratta, appunto, delle Regioni, delle Province e dei Comuni), dalla quale non possono deflettere, mentre le seconde possono emettere norme diverse e anche contrastanti con la disciplina generale, nel rispetto, ovviamente, di tutte le altre parti della Costituzione. Perciò le Regioni a statuto speciale devono ricevere l’imprimatur da una legge costituzionale. Eventuali conflitti di attribuzioni tra i poteri delle Regioni a statuto speciali con quelli delle Regioni ordinarie, nonché eventuali conflitti con i poteri dello Stato, saranno risolti dalla Corte costituzionale, come dispone l’articolo 134 della Costituzione.

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